MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


26.4.06

Diecimila Giorni

Tool: 10000 Days [Volcano, 2006]
?/10
Difficile, anzi impossibile, dare un giudizio obiettivo di quello che per molti è l'album più atteso dell'anno, ma per me è di certo quello più atteso di tutta la vita. Mai, nei tre anni circa da che la musica è diventata la mia droga numero uno, ho aspettato con tanta impazienza e morbosa curiosità l'uscita di un disco. Nonostante tutti i miei buoni propositi, i tentativi di autoconvincimento a non attendersi troppo, pena una cocente delusione, non sono riuscito a non riporre in questo nuovo lavoro di una delle più grandi band di inizio millennio (*) una mole sovrumana di aspettative, speranze, previsioni e proiezioni. La fiducia, quasi totale certezza dell'ennesimo capolavoro conviveva in me con più pessimisti (e verosimili) presagi di sventura: impossibile eguagliare Lateralus, figuriamoci eguagliarlo, sarà già tanto se trovano ancora qualcosa da dire...
Mancano pochi giorni all'uscita ufficiale, ma da una settimana circa circola la presunta leak del disco a 192kbps, che da bravo fan (orgoglioso di esserlo nel senso più dispregiativo della parola fan) ho provveduto a scaricare, ascoltare e vivisezionare. Per carità, c'è qualcuno che vocifera non si tratti altro che dell'ennesimo fake, questa volta rilasciato dalla stessa band per confondere e spiazzare. Magari, dico io: ci ritroveremmo con due disconi clamorosi al posto di uno. Lasciando stare queste illazioni complottiste, direi proprio si possa azzardare qualche conclusione su quella che, con ogni probabilità è la musica del nuovo disco dei Tool.

Innanzitutto, grazie ai Quattro per non aver fatto il disco che desideravo, Lateralus II Plus, né quello che temevo, Lateralus Home Edition. Questo "10000 Days", essenzialmente", è un album totalmente diverso. Sparo lì qualche aggettivo, che magari commenterò meglio in seguito: è di certo più vario e "vivo", meno coeso, meno esoterico ma più cerebrale, senza dubbio molto duro - il disco più "heavy" che abbiano fatto. Lo si potrebbe definire un disco "maturo", con tutti i pro e i contro connessi all'attributo.
Una cosa alla volta, però. Le tanto annunciate influenze dei Meshuggah, su cui mi ero costruito dei film pazzeschi, sono ben in vista ma assolutamente assimilate nella musica: le sciabolate su metri impazziti di power chord a intervalli di ottava potranno venire da "Destroy, Erase, Improve", ma sembrano esser state inventate e partorite dalla mente di Adam Jones. Ecco (scusate se procedo in maniera disordinata), una cosa che si nota rispetto a Lateralus è che i Tool sono un mostro a quattro teste: il "Tool sound" è ancora lui, coi dovuti aggiornamenti, ma si sentono molto di più i contributi dei singoli componenti. In "Lateralus" non ce la facevo a separare la batteria dal basso e dalla chitarra: era un tutt'uno inscindibile. Qua è invece immediato accorgersi degli strumenti uno alla volta e apprezzarli separatamente. Come dicevo, l'album risulta meno coeso ma più "vivo", si sente che è la creatura di una band in carne ed ossa e non la perfezione calata dall'iperuranio (sì, sto parlando di Lateralus, ve l'ho detto che sono un fanatico).
Meno coeso anche perché la dimensione di concept, se c'è, è molto meno evidente, e il disco è molto meno uniforme nel sound e nella struttura dei pezzi: ognuno fa storia a sé, o quasi. Non che questo disco non abbia una propria anima, ma la ha più per contrasto coi lavori precedenti ("più questo", "meno quell'altro") che di suo. Forza o debolezza? Ancora non so dirlo, ma sospetto la soluzione sia un mix delle due. Una caratteristica che balza all'orecchio subito è la complessità metrica, tecnica e strutturale senza precedenti dei brani. Non solo i 4/4 sono l'eccezione e non la regola, ma il tempo continua a cambiare anche all'interno dello stesso pezzo, in un flusso che ai primi ascolti sembra forzato, ma poi si rivela per la sua sconcertante, geometrica, fluidità. "A questo non può che seguire quello" sembra essere la legge implicita che regola la struttura del disco a ogni suo livello. Dunque poliritmi, tempi deliranti ma rigorosissimi, riff più granitici che mai, matematici, precisi e devastanti, di quelli in grado di spaccare un diamante di netto. Meno poesia, meno aura mistica che in "Lateralus", in scena qui è la lucida costruzione di quattro menti pulsanti per cui gli strumenti sono esattamente quel che dice la parola: strumenti. Non solo la tecnica, ma anche la musica stessa come strumento di indagine, strategia per poter sondare, attaccare, sezionare, riplasmare se non la Verità almeno la nostra percezione di essa [non chiedetemi cosa significhi quel che sto scrivendo, perché non credo abbia un senso compiuto, però suona bene, va riconosciuto].

Ma veniamo ai pezzi. Perché si può fare un gran parlare del sound, ma un disco è poi fatto di canzoni, o se vogliamo di composizioni. I brani di "10000 Days" sono, almeno per come mi han preso, i più ostici e multisfaccettati che i Tool abbiano mai scritto. Possono colpire al primo ascolto per un aspetto e poi rivelarsi completamente diversi, o lasciare inizialmente poco impressionati per crescere man mano a ogni ascolto, o stupire di colpo manco fossero cambiati dall'ultima volta che li si è sentiti. "Vicarious" è giustamente il singolo, è il pezzo più immediato, che mostra già gli aspetti più evidenti del "nuovo corso" della band: si parte con un intreccio Tool-crimsoniano, di attesa, affiora un po' di elettronica, nuova e spiazzante aggiunta, ma non si fa tempo a storcere il naso che arriva l'esplosione, e entra il leviatano in 5/4, il riff più fragoroso del disco, monolitico ed efferato, di una durezza inaudita per il gruppo. Maynard James Keenan ci mette del suo, e altrettanto fa Justin Chancellor, che sembra aver appena scoperto i trentaduesimi, di cui costella il pezzo e l'album intero. Al terzo minuto i Nostri si voltano, guardano i Meshuggah e gli fanno quel salutino sullo stile "Ciao ciao, pivelli". Una canzone umiliante per qualsiasi apprendista musicante. Colpo da maestro e uno dei pezzi più d'impatto della carriera. Un po' senz'anima, ma ce lo vogliono far capire fin dall'inizio: questo non è Lateralus II (in ogni caso i bei pezzi di cantato emozionale ci sono, eh, inutile nasconderlo).
"Jambi" al primo ascolto mi era parsa addirittura banale. Giusto per dire come questo sia uno di quei dischi che si scoprono a poco a poco, in cui nessuna opinione è definitiva. Ora mi sembra un gran pezzo, frastagliato e proteiforme, con quell'assolo di "talking guitar" che nessuno si sarebbe aspettato ma è lì e ci si chiede come sarebbe stato senza. Un crescendo continuo che parte dall'intensità a cui di solito un crescendo arriva.
Seguono le due "Wings for Mary (Part 1)" e "10000 Days (Wings Part 2)", ed è qui che i Tool si allontanano maggiormente dallo stile a cui ci avevano abituato, arrivando a lambire le coste e sorvolare i territori degli Isis. Sorta di corrispettivo dell'accoppiata "Parabol"-"Parabola" (il raccordo ci assomiglia anche un po' troppo), questi sono i pezzi da novanta del disco. Il secondo in particolare, un'odissea di 11 minuti, è il pezzo più toccante del disco, in un modo del tutto diverso dall'esoterismo di "Schism", "The Grudge", "Lateralus" e "Parabola", meno orgiastico e più interiore, ricco di spazi e di vuoti. L'apice di questi "nuovi Tool", e forse una possibile indicazione per il futuro cammino della band. E, mentre la sto riascoltando, verso l'ottavo minuto arriva la lacrimuccia...
Anche "The Pot" nasce per spiazzare. Partenza a cappella su un registro molto più acuto di quello a cui siamo abituati. Subito incalza il basso, e non si direbbe mai a sentirlo, ma il suo riff sfuggente e spezzatissimo è in 4/4, pulito pulito. Ho rischiato la vita a un incrocio, nell'accorgermene (vale per questo disco lo stesso discorso che per i Battles: non ascoltare al volante o in bicicletta). Fortunatamente, verso la metà del pezzo, fa capolino un po' di quel Danny Carey "tribale" che era metà buona del sound ipnotico di "Lateralus", ma il risultato qui è tanto differente quanto entusiasmante.
Soprassiedo sugli interludi, non perché siano di troppo (un po' di respiro ci sta eccome), ma perché tutto sommato sono la cosa meno interessante. Dopo "Lipan Conjuring" e "Lost Keys (Blame Hofmann)" si arriva dunque alla canzone che forse più sarà ricordata del disco: "Rosetta Stoned". Ecco, allora, fermiamoci. L'inizio. L'inizio di questa canzone. La voce di Keenan filtrata e leggermente sfasata, a fare da tappeto al riffone... Porca eva ma quanto è bella? Fa paura, è sconvolgente, è inumana, disumana, sovrumana. Ok, il resto della canzone è bellissimo, è la più lucida e cerebrale del disco, con un finale di quelli da coinvolgimento totale, che ti metti a cantarli (!) a squarciagola nella stanza (e, dannati bastardi, mica te le lasciano assaporare le loro aperture melodiche, macché, "Paganini non ripete", i ritornelli manco sanno cosa siano, "usata" una volta una frase, si passa subito a un'altra), ma il 90% delle volte che tento di ascoltarla tutta lo faccio ripartire dopo pochi minuti: l'inizio cavolo, l'inizio è da brivido.
"Intension" è a metà tra lo strumentale e l'intermezzo, con quella batteria elettronica che era difficile aspettarsi. Infine "Right in Two", che apre quasi da ballad (in 11/8, non proprio il classico lento), giocando ai piccoli giornalisti da strapazzo la si potrebbe definire la "Stairway to Heaven" dei Tool. Il pezzo è bello, merita, probabilmente è il più vicino a "Lateralus", e proprio per questo è quello in cui la formula mostra un po' la corda. Insomma, sì, partenza arpeggiata, ritmi composti, esplosione a metà pezzo, un po' di tambureggiamenti tribali, riffoni di roccia fusa... si potrebbe dire "prevedibile". Vabbé, concediamoglielo. "Viginti Tres" è inutile. Ma c'è chi si diverte ad ascoltare dischi interi fatti così, e li trova avanguardistici e molto belli. Continui pure a divertirsi, io skippo.

...

Interessante. Io ero partito nello scrivere questo commento con l'intenzione di parlar male del disco. Oddio, proprio male no, ma insomma di non esaltarlo troppo, di riconoscere che non è altrettanto capolavoro quanto il precedente, di far trasparire che i Tool abbiano intrapreso il tratto discendente della loro parabola artistica. Eppure non sono stato capace. L'ho detto, quest'album cresce ad ogni ascolto, e forse non è perfetto come "Lateralus", senza dubbio è più freddo, a tratti perfino di maniera, la formula non è più così sbalorditiva e a scavar bene si può notare qualche segno di cedimento, qualche riff che suona di già sentito, qualche schema che ci si poteva aspettare... Ma bisogna proprio mettersi a cercare il pelo nell'uovo. Guardiamo alla realtà dei fatti: se questo fosse il primo disco della band, si potrebbero fare paragoni coi precedenti? Si potrebbe dire "ehehe, sono calati, lo dicevo io"? No. Si dovrebbe soltanto constatare la strabiliante maestria dietro a questo assalto sonico, e senza dubbio si urlerebbe "al capolavoro".

(*) Azzardo qualche altro nome? Godspeed You Black Emperor!, Radiohead, Isis, Sigur Ròs, Four Tet, Mastodon, Wilco.

23.4.06

Telecom Infame

Allora. Son stato via una settimana, a uno dei campi scout più strabelli a cui mi sia capitato di partecipare. Me ne torno a casa un po' esaltato e un po' deluso, perché so che tutte le figate di cui si è parlato non potrò metterle in atto tra Pavia, università, pigrizia e sbatti vari. Avrei pure un botto di considerazioni introspettiv/psicolog/sentimental da fare (nulla di che, don't worry), e giuro che ieri e l'altroieri avevo pure voglia di mettermi a scriverle.
E però. E però entro in casa, metto giù lo zaino, da bravo drogato accendo i due pc, faccio a tempo a scaricare l'ultimo album dei Tool, a fare $cose varie e andare a nanna (la sera prima s'è fatto l'after), che mi sveglio la mattina dopo e internet non va. Porca eva. Vabbé, si chiama wind. Osti, non va neanche il telefono. Potrei dire "chiamo col cellulare" ma giustamente quello è kaputt di suo da giorni. Insomma, chima mio papà col suo. Sì, c'è un guasto sulla linea (c'avran staccato il cavo per sbaglio, inetti), dovrebbero metterlo a posto entro breve. "Entro breve". Quanto sia "entro breve", ovviamente, non è dato saperlo. Maledizione.
Ieri, incredibile ma vero, arriva il tecnico. Dopo "solo" tre giorni! Vabbé, arriva il tecnico e rimette a posto il telefono. Esatto. Sì sì, solo il telefono. E ci lascia senza ADSL. "Avete disdetto il contratto, no?". Eh già, ovvio. Avessimo mai avuto un contratto ADSL con loro da disdire, magari... Beh insomma, a quanto pare c'è stato un ulteriore disguido e non avevan capito che dovevano riattaccarci pure l'ADSL. Torneranno lunedì e si spera mettano a posto per davvero.
Per intanto, sto scaricando i pdf e le dispense che mi servono a casa della vicina/amica di famiglia. Ovviamente, la voglia di scrivere le varie cose sbattose di cui all'inizio è nulla. Sarà per un'altra volta, magari.

11.4.06

He Has Left Us Alone, But Shaft of Lights Sometimes Grace the Corners of Our Rooms

E' il titolo di un disco degli A Silver Mount Zion, ma non è di loro che voglio parlare, rimandando la cosa a dopo il loro concerto che (spero) vedrò a maggio. Il punto è invece che, non contento di rischiare il gabbio ogni giorno per le mie tonnellate di mp3 in share, ho pensato di iniziare a mettere online un po' di compilation fatte da me. In realtà i miei fini sono più che lodevoli: voglio semplicemente fare un po' di pubblicità a certa musica e certi artisti, nella speranza di incuriosire qualcuno e far sì che scar... ehm, compri i loro dischi.
Il titolone kilometrico di cui sopra era semplicemente quello che mi sembrava più adatto per questa prima compila, che manco a dirlo è dedicata alla mia mania del momento: il "post-rock emotivo" di cui ormai ne avran piene le balle anche i muri. In realtà, il titolo work-in-progress era "Compila Pacco", ma poi ho pensato fosse meglio qualcosa di più attraente. Ascoltando la musica, spero capirete perché trovo il titolo così adatto: la frase riassume perfettamente le sensazioni che questi pezzi sembrano comunicare.

Ecco la tracklist della raccolta, che dura un'ora e poco e dovrebbe starci su un cd. Ho cercato di mettere i brani che più mi emozionano e meglio rappresentano il genere, stando anche attento a come si concatenano, in modo da creare il più possibile un "flusso" unico.

1. Explosions in the Sky: First Breath After Coma (9:33) [dall'album "The Earth is not a Cold Dead Place", Temporary Residence 2003]
2. 65 Days of Static: The Fall of Math (3:59) [dall'album "The Fall of Math", Monotreme 2004]
3. Caspian: Further Up (4:26) [dall'album "You are the Conductor", Dopamine 2005]
4. Caspian: Further In (2:50) [dall'album "You are the Conductor", Dopamine 2005]
5. Glider: Over the Ocean (4:26) [dall'album "One Day at a Time", The Gaia Project 2006]
6. Port-Royal: Spetsnaz/Paul Leni (10:59) [dall'album "Flares", Resonant 2005]
7. God is an Astronaut: All is Violent, All is Bright (4:14) [dall'album "All is Violent, All is Bright", Revive Records 2005]
8. Sigur Rós: Gong (5:33) [dall'album "Takk...", Geffen 2005]
9. Mogwai: You Don't Know Jesus (8:02) [dall'album "Rock Action", Matador 2001]
10. Godspeed You Black Emperor!: Moya (10:51) [dall'EP "Slow Riot for New Ø Kanada", Constellation 1999]

E infine, voilà:
He_Has_Left_Us_Alone.rar (Compilation)
Buona depressione :)

Quella mezza Italia che non conosco

Bruttissime ore. Il risultato delle elezioni non è ancora chiaro, e chissà se e quando lo sarà. Non solo non c'è stato il plebiscito di cui mi ero illuso, ma addirittura salta fuori che, almeno al senato, "loro" sono più di "noi".
Al di là della delusione e dello sconforto che la cosa mi mette, lasciando stare anche le grigie previsioni di un governo di larghe intese o tecnico fino a novembre, giusto il tempo di rifare le edizioni e perderle per bene, sono sorpreso. Il 50% degli aventi diritto ha votato il Nano o una sua propaggine, e dalle mie parti si arriva oltre al 60%. Mi rendo conto che le mie conoscenze, vai a sapere perché poi, non sono per nulla rappresentative né del paese né della zona in cui abito. Quante persone (votanti) conoscerò abbastanza bene da poterne azzardare lo schieramento politico? Qualche centinaio, credo. Quante di queste so parteggino per Mr. B. e la sua coalizione? Così, su due piedi, me ne vengono in mente sette. Esagerando, saranno qualche decina. Quante invece so per certo votino a sinistra? Svariate centinaia. Quasi tutti.
Ora, del fatto che i miei amici, la gente con cui parlo e mi trovo tutti i giorni, abbiano opinioni politiche vicine alle mie, siano degli "sporchi comunisti", mi sembra comprensibile. Passi poi che i gruppi scout sono intrinsecamente "comunisti" e così lo siano le amicizie di famiglia. Già più bizzarro è che anche qua in collegio la stragrande maggioranza delle persone sia sfacciatamente sinistrorsa (o forse ancora una volta considero solo quelli con cui mi trovo di più?). Del tutto incomprensibile è come questa maggioranza si veda anche tra i miei compagni di corso, in facoltà, o sui forum tematici che frequento, si parli di fumetto o si parli di musica.
Vivo in un condominio "comunista", frequento gente "comunista", ho compagni di collegio e di corso "comunisti", ascolto musica "comunista", leggo libri e fumetti "comunisti". E il resto dell'Italia, dov'è? E' la metà del paese, e io nemmeno so che faccia abbia. Non so cosa pensi, che vita faccia e dove si nasconda. Ma mi fa paura.

9.4.06

Domenica delle... palme?

Bene, il mio dovere di cittadino l'ho fatto. Alle 10 ero all'urna a mettere la mia bella crocetta sui "rossi". Dopo lunghe riflessioni, momenti di crisi e panico pre-elettorale e perfino un incubo in cui venivo cacciato dalla cabina elettorale per esser stato dentro troppo tempo a pensare, infine il momento è giunto e ho espresso la mia scelta. Spero non si riveli una scelta sbagliata, visto che per quanto ne so il partito che ho votato rischia di non passare lo sbarramento.
E' anche giusto però combattere questa "sondaggiocrazia" che di fatto mette in pericolo di sopravvivenza interi partiti. Eh già, perché se uno legge che $partito è sotto la soglia di sbarramento, mica lo vota. Il potere dei sondaggi è dunque bello consistente, e forse se ne parla troppo poco. Io già ci ho messo un mese per decidere cosa votare sulla base di programmi, fiducia e peso politico. Figuriamoci se mi devo far intimorire dai sondaggi. Tanto, al peggio, il mio voto buttato non è, ma va su tutta la coalizione.
Che Dio ce la mandi buona. Insomma, sì, se c'è che almeno dia una mano.

Qualche parroco, invece, ha deciso di mettere i bastoni fra le ruote. Facendo finta di fare l'opposto, ovvero di manifestare la neutralità sua e della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Ora, da che mondo è mondo o quantomeno da quando sono nato, a Bergamo la Domenica delle Palme si danno i ramoscelli di ulivo a chi va a messa. Anche oggi per le strade c'era gente armata di rametto d'ulivo (addirittura c'era un tipo fortissimo con mezzo albero secolare e un bandierone dei DS sulla schiena a mo' di mantello), ma ce n'era anche altra con fronde di palma. Questo fingersi "in buona fede" e benintenzionati a non fornire implicite indicazioni elettorali ai fedeli in realtà riflette esattamente lo schema di pensiero opposto, e mi infastidisce anzicheno. Capisco si fosse pronunciata la C.E.I. o chi per lei, ma questa cosa del piccolo parroco che di suo prenda questa iniziativa non mi piace affatto.

ps. Un paio di commenti un po' così.
Il nuovo album dei Flaming Lips è molto bello, non so quelli vecchi perché non li ho sentiti, ma questo è proprio figo. L'ultimo dei Don Caballero brutto non è affatto, come al solito son tutti a martellarlo perché non è all'altezza dei precedenti, ma io mi aspettavo molto di peggio. Ho sentito uno split di The Sea Like Lead e Belegost: post-rock un po' à la GYBE! con qualche punta in stile Pelican. Niente male ma neanche troppo bene.
Wondercity invece, porca eva, non si trova ancora in nessuna edicola, manco a Bergamo. Dovrebbe essere in giro da cinque giorni e invece niente. Che palle. Fa penare, sta Fribucchi.

8.4.06

Playlist della settimana (1-8 aprile)

della settimana:
Mono: You Are There [Temporary Residence, 2006]
7/10

Come volevasi dimostrare, sono ormai irrimediabilmente un fan (nel peggior senso della parola) di questo "post-rock emotivo". Ho totalmente perso ogni senso critico a riguardo. Mi rendo perfettamente conto che questo è un disco inutile e derivativo, una sorta di mélange un po' progressivizzante di Godspeed You Black Emperor! e Mogwai, che non aggiunge assolutamente nulla a quel che è stato già detto e già suonato.
Eppure, proprio per questo, non posso fare a meno di innamorarmi di un disco così. Ok, le idee forse non ci sono, ma le emozioni, certo quelle non mancano. Questa è musica che si fa da sola, e questo o quel gruppo non è altro che un tramite perché giunga alle nostre orecchie. E' il primo disco che sento di questi giapponesi, non so come siano gli altri ma penso proprio che li recupererò. Nel frattempo, andrò avanti a strimpellare linee di basso sopra a "Yearning", che perfino un inetto come me ci riesce talmente è facile. Lunga vita ai crescendo.

della settimana:
Yakuza: Samsara [Prosthetic, 2006]
7,5/10

Che bomba. Questo discone è riuscito a monopolizzarmi winamp e lettore cd per giorni fino a che non mi sono auto-imposto di lasciar spazio ad altro. Metalcore massiccio e dirompente, un po' Neurosis e un po' System of a Down, ma a renderlo scandalosamente magnetico è la fusione con i temi atmosferici e orientaleggianti del sax. Non i soliti stacchetti jazz del cavolo su cui han fatto la loro fortuna tonnellate di gruppi, ma idee e influenze che entrano nel profondo della composizione, dando ai pezzi un che di magico, esoterico e catartico. Riff devastanti e assassini, doppio scream efferatissimo, batteria in modalità macchina da guerra (ma per fortuna non c'è traccia dei passaggi tumpatumpa che temevo) ma la musica che ne esce è cerebrale, in ogni nota si sente la mente della band che tienChe bomba. Discone pazzesco che ha monopolizzatoe sapientemente in mano le redini della belva. "Dishonor", "20 Bucks", "Exterminator": tra Tool, Kayo Dot, Converge e perfino Wyatt (!) questi Yakuza mostrano di avere le idee perfettante chiare. E che idee!

Altri ascolti:

Aloha: Some Echoes [Polyvinyl, 2006]
6,5/10

I Tortoise e i Genesis si sono incontrati e ne è uscito questo disco. Ovviamente non è così, ma questa è la cosa che ho pensato fin dal primo pezzo di quest'ultimo disco della band di Chicago. Il primo che ascolto, a dire il vero. Batteria uscita dritta da "TNT", armonizzazioni e strutture che ricordano con immenso piacere una "Can-Utility and the Coastliners" o "Dancing with the Moonlight Night". Questo nei pezzi migliori, che poi son quelli per cui val la pena di ascoltare il disco. "Brace Your Face", "Your Eyes" e "Between the Walls", con quella sua tastiera classicheggiante, molto beatlesiana. Per il resto tanti pezzi così così, non male ma neanche troppo bene, alcuni gradevolmente pop, altri più facilmente riconducibili al post-rock. Dovrò sentire il primo album, che pare sia molto bello.

Kieran Hebden and Steve Reid: The Exchange Session, Vol. 1 [Domino, 2006]
7/10
Per questo disco, Kieran Hebden alias Four Tet rispolvera la sua anima più jazzistica, quella del primo e ineguagliato "Dialogue", e la più minimalista (che abbiamo ascoltato nella collaborazione con Pole). Ne escono tre pezzi lunghi e dilatati, fatti di brandelli timbrici e percussionistici (oltre alla batteria, campanelli, carillon e perfino campanacci da mucca), musica di sottofondo a cui è però bellissimo prestare attenzione. Uno dei lavori più discreti (nel senso di "poco invasivi") del Nostro, che si avvale della collaborazione di Steve Reid, in realtà semplice "spacciatore di suoni" per il suo sapiente taglia-e-cuci. Certo non un'uscita imperdibile, ma senza dubbio tra i più notevoli dischi "a quattro mani" di Four Tet.

Volcano!: Beautiful Seizure [Leaf, 2006]
5,5/10
Ok. Le idee ci sono, su questo non ci piove. La grinta anche. La chitarra è al crocevia ideale tra Johnny Greenwood e Arto Lindsay, la voce non può non ricordare Thom Yorke, nella batteria affiorano tracce di This Heat ("Red and White Balls"). Ma ragazzi, datevi una calmata, sedetevi e pensate prima di incidere. Questo disco non ha né capo né coda. Al di là dell'assalto sonoro, del sound anche troppo secco (qualche sfumatura qua e là non guasterebbe), le buone idee si perdono in pezzi in cui ci azzeccano come i cavoli a merenda. La struttura melodica piuttosto ben riuscita dei brani cozza con la valanga di trovate avant cacciate dentro nell'arrangiamento. Buoni ingredienti, risultato mediocre. Ritentate, suonate ancora assieme, e forse alla prossima ne uscirà qualcosa di davvero figo.

Islands: Return to the Sea [Equator, 2006]
6,5/10
Disco eclettico, variopinto. La prima, bellissima, "Swans (Life After Death" si apre che sembrano gli Arcade Fire e si chiude con una coda blues-rock commovente e mozzafiato. "Don't Call Me Whitney, Bobby" meriterebbe una chitarra più calda e in vista, ma è già diretta e dolce così. "Rough Gem" è stato il mio tormentone di questa settimana, in bilico tra pop raffinato e giri armonici al limite del ridicolo (è lo stesso di "50 Special" e mille altre canzoni). "Where There's a Will There's a Whalebone" si addentra in territori di commistione rock/hip-hop con ottimi risultati. Belle anche "Jogging Gorgeous Summer" e "Tsuxiit", ma purtroppo il resto del disco non è allo stesso livello, complici una produzione davvero di cattiva qualità (quanto suona male la batteria, e com'è sbilanciato il mixaggio) e strutture di una banalità spiazzante, forse voluta ma a mio avviso non troppo ben gestita. Le carte per mostrare la propria bravura però sono tutte in gioco, e attendo con speranza una nuova prova un po' più uniforme e a fuoco.

LCD Soundsystem: [Self-Titled] [DFA/EMI, 2005] 6/10 (R)
Guapo: Five Suns
[Cuneiform, 2004] 8/10 (R)
Do Make Say Think: Winter Hymn Country Hymn Secret Hymn
[Constellation, 2003] 7/10 (R)
Cat Power: What Would the Community Think
[Matador, 1996] 7,5/10
Bloc Party: Silent Alarm [Deluxe Edition] [Vice, 2005] 8/10 (R)
The Shins: Chutes Too Narrow [Sub Pop, 2003] 5,5/10

6.4.06

Tempo buttato

Sono un pirla, essenzialmente. Perché non si può spiegare altrimenti che io mi feccia un mazzo così per preparare un esame in tre giorni, peraltro un esame in cui il voto non conta nulla, ci riesca in maniera decente e poi decida di non darlo. Mi son perso una festa (quella delle matricole, anche se un salto ce l'ho fatto), ho fatto le quattro di notte l'altro giorno e poi niente, nulla di fatto. Oggi son stato a vedere gli esami dei miei compagni/compagne e han preso tutti voti scandalosamente alti senza sapere un cazzo (grossomodo come me).
Il fatto è questo, però: quest'esame (Logica, per intenderci) è uno dei pochi di cui me ne freghi davvero qualcosa quest'anno, ed è veramente strafigo. Di prepararlo col culo proprio non mi andava. Perché poi so che se l'avessi dato e passato chi l'avrebbe più toccato? Non sono il tipo che si mette a riguardare le cose tanto per. No, meglio così dai, mi farò uno sbatti in più a giugno, la cosa mi creerà problemi etc., ma almeno ho un'altra possibilità di studiarlo bene. Che tanto al peggio lo preparo ancora in due giorni, tanto s'è visto che passarlo è una cazzata...

1.4.06

Playlist della settimana (24-31 marzo)

Non tantissimi ascolti ma parecchi che si contendono gli agognati riconoscimenti. Scelta ardua dunque!

della settimana:
Port-Royal: Flares [Resonant, 2005]
8,5/10
Insomma, c'è poco da fare: adoro questo filone del post-rock, quello "emotivo", e anche se i dischi tendono ad assomigliarsi tutti io mi innamoro puntualmente di ognuno.
Non si può però dire che i genovesi Port-Royal siano una blanda copia dei padrini del genere (Godspeed You Black Emperor!, Mogwai, Explosions in the Sky, Sigur Ros) o dei loro mille epigoni e continuatori. Le atmosfere sono quelle: paesaggi nordici, vento, acqua, il sole che sbuca dalle nuvole dopo una tempesta, aurore boreali e ghiaccio che si spacca. Ma nella loro musica si aggiunge una componente elettronica, ritmi programmati e sottofondi glitch tanto discreti quanto capaci di arricchire il suono. Gli stessi arpeggi sanno più di elettronico, gocce che cadono da stalattiti di ghiaccio.
L'album ha tutti i prerequisiti per collocarsi tra i migliori del filone: freddo e caldo assieme, dilatato, rilassante, emozionante e scarno. Una vena di disperazione che in altri dischi è solo accennata: per certi versi mi ha ricordato l'"album con le parentesi" dei Sigur Ros, ma è meno claustrofobico. Bellissima sorpresa, non può mancare negli ascolti di chi ama il genere.

della settimana:
Battles: EP C / B EP [Warp, 2006]
7,5/10
Uno spasso. Quel genere di disco che mi distrae da qualsiasi altra cosa tenti di fare: son sempre lì a dirmi "ma che figo sto passaggio", mi esalto incrementalmente a ogni battuta, inizio a tamburellare sul tavolo o qualsiasi cosa mi sia a tiro. Ascoltarlo in bicicletta è stata una delle peggiori idee che potessi avere: a momenti rischio un frontale perché invece di badare ai semafori son tutto preso a contare sulle dita quale sia il metro dei pezzi.
Avendo ascoltato separatamente l'EP C, ho notato una maggiore spigolosità negli altri pezzi che compongono il disco, un suono più ruvido e aggressivo. In ogni caso, ho trovato molto interessante e originale la sintesi di math-rock e elettronica, non avevo mai sentito lavori che si muovessero in questa direzione. I paragoni coi Don Caballero e i Tortoise non mi paiono più di tanto azzeccati: la batteria è molto più secca che nei Don Cab, quasi hip-hop in certi pezzi, e mi ha ricordato più che altro gli Shellac. I Tortoise poi mi sembra non abbiano nulla in comune, proprio. Certo, un pezzo come "Bttls" era del tutto evitabile, ma attendo con impazienza il primo album!

Altri ascolti:

VNV Nation: Empires [Metropolis, 1999]
8/10
Che bel disco, non credevo mi sarebbe piaciuto. Di EBM non so nulla quindi non sto a far paragoni. Posso solo dire che raramente considero "epico" un complimento, ma questo è uno dei casi. Musica che sembra raccontare di battaglie galattiche, astronavi disperse nelle nebulose che lottano contro le avarie nella speranza di sopravvivere, pianeti distrutti e razze intere in esilio galattico. La disperazione di un'umanità che ha tramutato il suo corpo in macchina e non ha più la possibilità di tornare indietro.
Ma "Empires" non è solo questo. E' anche, va riconosciuto, un disco meravigliosamente "tamarro". E anche questo aggettivo lo uso in senso positivo, in via del tutto eccezionale. Gli stessi suoni, le stesse "figure retoriche" che mi farebbero gridare e scappare via in qualsiasi altra circostanza qui sono perfettamente orchestrate, a costruire quest'album monumentale, esaltante e toccante. Imperdibile.

The Shins: Oh, Inverted World [SubPop, 2001]
7,5/10 (R)
Avevo scaricato questo disco qualche settimana fa, incuriosito da una traccia ("New Slang") sentita in streaming su lastfm. Ascoltato di sfuggita, non mi aveva impressionato. Indipendentemente, questa settimana un amico mi manda alcune tracce dello stesso disco, che mi spingono a dargli una seconda chance.
Decisione azzeccatissima. Era proprio quello che cercavo in questo periodo: un (altro) album leggero, fantasioso, immediato, ma con quel sottile retrogusto malinconico. Andarsene in giro per Milano in una giornata di sole con "Caring is Creepy" e "The Celibate Life" nelle orecchie riesce nell'ardua impresa di farmi piacere la città. Emergono echi di Byrds, Stone Roses, XTC, Beach Boys, qua e là perfino Jesus and Mary Chain, ma canzoni come "One By One All Day" e "Girl on the Wing", che sembrano la classica descrizione musicale della cittadina inglese, rendono difficile credere che questi tizi siano americani. Piacevole, divertente, leggero e mai banale. Belle melodie e arrangiamenti che, senza strafare, hanno sempre un piccolo elemento che li rende interessanti. Pare che il successivo "Chutes Too Narrow" sia anche meglio: vi saprò dire settimana prossima.

Neurosis: Through Silver in Blood [Relapse, 1996]
9/10 (R)
Album epocale, disco immenso, punto di non ritorno del metal e forse non solo di quello. Il suono dei Neurosis non hanno più nulla dell'hardcore degli esordi, del sinfonismo di "Souls at Zero" o dell'incedere apocalittico di "Enemy of the Sun", ma ne conserva l'impeto, la monumentalità, la disperazione. Riff monolitici, ritmi demoniaci, stridii e clangori post-industriali e un growl-scream che non è nè quello "da film horror", né quello psicotico ed efferato di Cynic e Atheist, ma è un nuovo modo di dar voce alla propria angoscia esistenziale, di esorcizzare la solitudine che è nella nostra essenza. Nel realizzare questo monumento, i Neurosis danno via a uno dei più fervidi e importanti filoni del rock di oggi, quel post-metal che vede le sue punte in Isis, Cult of Luna e Pelican, che partendo dal "nuovo suono" dei Neurosis arrivano alla fusione con le sonorità e gli schemi del post-rock. Eccelso, immancabile, catartico e devastante. This is the new prog.

Four Tet: Live at the Spanish Club, Melbourne 20th Jan 2006 [2006]
7/10
Come avevo già avuto modo di apprezzare sul singolo "As Serious as Your Life", al nostro Kieran Hebden piace aggiungere alla sua musica una dimensione rumoristica nei live. Il risultato è intrigante, ridisegna le sue composizioni e ne rende interessante la riproposizione. E' qualcosa di esaltante sentir emergere "She Moves She" un poco alla volta, riconoscerla dal primo frammento e star lì a gustarsi con che stratagemma verrà presentata. Alcune rielaborazioni sono clamorose ("She Moves She", appunto, ma anche "Spirit Fingers" e "Sun Drums and Soil"), e nel complesso l'esibizione non presenta sbavature. Spero di riuscire a vederlo anch'io, prima o poi.

Pole vs. Four Tet (EP) [Leaf, 2000] 6/10
Four Tet: LateNightTales [Another Late Night, 2004] 6,5/10 (R)
Madvillain: Four Tet Remixes (EP) [Stones Throw, 2005] 6,5/10
Hella/Four Tet: Split (EP) [Ache, 2004] 5,5/10 (R)
Caribou: The Milk of Human Kindness [Domino, 2005] 8/10 (R)
Sigur Rós: Takk... [Geffen, 2005] 8/10 (R)