MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


30.3.06

Riflessione confusa sul rapporto fede-ateismo

"Se conoscete un ateo interessante, presentatemelo". Così ha supplicato ieri Franco Battiato, in tono alquanto supponente a dire il vero, durante il confronto sul tema "Musica e Spiritualità" svoltosi ieri in Bicocca. Non voglio entrare troppo nel merito riguarto alle altezzose cazzate enumerate da Battiato per l'occasione: ne uscirebbe una desolante carrellata di banalità altisonanti (quelle di Battiato) e insulti mal argomentati (i miei).
Già, non scrivo tanto per prendermela con Battiato, che in ogni caso dopo un intervento come quello di ieri perde una buona parte della mia stima. A smontare l'arroganza con cui sostiene l'evidenza dell'esistenza di Dio e la sua evincibilità dalla bellezza della musica di Bach ha già pensato Branduardi poco dopo, quando con invidiabile leggerezza ha fatto notare che, al massimo, dalla bellezza della musica di Bach si può dedurre la grandezza del compositore.
No, vorrei invece riflettere sulla frase che ho citato all'inizio, nel bene o nel male l'unico spunto interessante delle ciance intellettualoidi di Battiato. Questa sufficienza nel trattare l'ateismo, specie da parte di chi si professa credente ma senza dubbio non è un "bigotto" (almeno questo a Battiato va riconosciuto), mi incuriosisce. Più che altro, vorrei capire cosa si intende per "interessante": difficilmente liquidabile e degno di considerazione e rispetto dal punto di vista filosofico-speculativo, o piuttosto affascinante in senso fantastico, quasi mitologico?
Non c'è dubbio che l'ateismo offra gran poca attrazione a chi ama fantasticare, immaginarsi mondi e esseri superiori, o sentirsi confortato dall'esistenza di qualcuno che ci protegge, di una Volontà divina, di qualcosa che vuole che noi siamo al mondo, o ancora più semplicemente di una Via, un legame, un Senso. Però non vedo per quale motivo sul piano filosofico dovrebbe essere meno interessante di qualsiasi altra forma di spiritualità. Entrambi i punti di vista, quello del credente e quello dell'ateo, mi sembrano ugualmente traballanti (per non dire campati in aria) in un'ottica filosofica. Non voglio apparire il solito qualunquista che semplifica le cose fino a banalizzarle, ma pur sempre di fedi si trattano. Non solo non esistono prove dell'esistenza o dell'inesistenza di entità spirituali (non solo Dio, ma anche, più debolmente, Senso e Anima), ma nemmeno vedo alcunché che possa indicare una delle opzioni come più plausibile.
Certo, è difficile accettare che la nostra vita e quello che ci circonda non abbia un significato, non risponda a un disegno superiore, a una volontà. Eppure bisogna rendersi conto che l'universo sta in piedi anche senza il suo (ipotetico) creatore, che tout se tient anche senza nessun perché. Certo, è strabiliante e assieme inquietante come tutto obbedisca a leggi razionali, che siano matematicamente semplici come la Seconda Legge di Newton o complesse come la Relatività Generale. Non riesco assolutamente a capacitarmi del fatto che entità fenomeniche che con ogni probabilità non conoscono le leggi della fisica poi le seguano. Com'è possibile, mi chiedo, perché? Ma la domanda cade nel vuoto, e l'unica risposta è che di un perché non c'è bisogno. E' così, e basta. Non ci è dato sapere se esista o non esista un motivo, né se le leggi fisiche sono qualcosa che "permea" l'universo o solo una creatura della mente.
In conclusione, Battiato qualcosa di sensato l'ha detto, forse involontariamente: le religioni, le cosmogonie, le ipotesi e congetture sul trascendente sono obiettivamente qualcosa di affascinante, bello, interessante, mentre c'è poco di cui invaghirsi nel pensiero di qualcuno che sostiene l'inesistenza del trascendente. Tuttavia c'è un abisso tra il trovare qualcosa bello e interessante e il ritenerlo vero. E non serve credere nella verità delle tesi spirituali per poterle ammirare, rispettare, studiare, apprezzare. Sono agnostico convinto, ma sono affascinatissimo dalla spiritualità, sia nella sua dimensione storica, che teleologica o interiore. Mi dà però parecchio fastidio che, proprio ora che si parla tanto di dialogo e rispetto religioso, non vi sia da parte del signor Battiato alcun rispetto per l'ateismo, che tratta con presunzione e sufficienza. Dall'alto di cosa non si sa, poi. Perché uno che chiama Bertrand Russel "quello lì" ha poche arie da darsi...


ps. E a me che questa canzone piaceva tanto. Sarà che il testo non è suo.

Franco Battiato: Gli Uccelli
Volano gli uccelli volano
nello spazio tra le nuvole
con le regole assegnate
a questa parte di universo
al nostro sistema solare.
Aprono le ali
scendono in picchiata atterrano meglio di aeroplani
cambiano le prospettive al mondo
voli imprevedibili ed ascese velocissime
traiettorie impercettibili
codici di geometria esistenziale.
Migrano gli uccelli emigrano
con il cambio di stagione
giochi di aperture alari
che nascondono i segreti
di questo sistema solare.
Aprono le ali
scendono in picchiata atterrano meglio di aeroplani
cambiano le prospettive al mondo
voli imprevedibili ed ascese velocissime
traiettorie impercettibili
codici di geometria esistenziale.
Volano gli uccelli volano
nello spazio tra le nuvole
con le regole assegnate
a questa parte di universo
al nostro sistema solare.

24.3.06

I Ds e la vergogna della Sinistra

Ora, io vivo fuori dal mondo, non leggo regolarmente i quotidiani e, per quanto ancora giovane, ho già perso qualsiasi fiducia per la politica o almeno per quella italiana. Tutti i "mea culpa" di questa terra. Però insomma, ieri mi degno finalmente di informarmi un po' sul funzionamento del sistema elettorale, sulle liste elettorali eccetera, se non altro per farmi un'idea sensata su cosa votare dopo tre pseudo-test online che mi collocano pericolosamente vicino a Verdi e Rosa nel Pugno.
Il nuovo sistema presunto proporzionale è già di suo scandaloso: tanto per cominciare "proporzionale puro" non lo è manco da lontano, visto che prevede un numero non irrisorio di circoscrizioni locali, oltre alle forse inevitabili soglie di sbarramento. Poi questa cosa delle liste uniche e bloccate, per cui uno vota il simbolo senza nessuna possibilità di scelta interna, sommata al fatto che gli stessi personaggi sono candidati in più circoscrizioni, di fatto assicura già la cadrega ai soliti, lasciando al cittadino solo il potere di eleggere anche qualche altro "nome minore".
Beh insomma, non bastava il sistema elettorale inaccettabile, no, pure i "nostri" dovevano mettercisi. Io avrei votato Ds, non troppo convintamente ma senza dubbio in un'ottica del "meno peggio". E cosa viene fuori? Che non posso. Che se voglio votare per i candidati dei Ds mi tocca dare il mio voto pure ai Margheriti e ai vari Di Pietro. Come prospettiva, mi fa abbastanza schifo.
Ma non è solo questo. E' anche che, guardando meglio la cosa, come questa storia delle liste uniche si combina col meccanismo elettorale, si scopre quanto la storia in esame sia ributtante. Eh già, perché se 2+2=4 ne deduco che questi stronzi hanno messo in piedi (loro, i "nostri"!) una trovata di un'antidemocrazia allucinante. Si son già spartiti la torta: han già fissato in che proporzione i seggi ottenuti andranno ai tre partiti. Quel che resta da decidere è solo quanto la torta sarà grande, e solo a questo gli serviamo noi elettori. Per il resto non dobbiamo preoccuparci, si arrangiano loro, i figli di puttana.
Io mi sento preso per il culo. Molto preso per il culo. Blaterano tanto di democrazia di qua e di là, ma questa loro mossa mi sembra l'apoteosi della partitocrazia. L'elettore come gentile fesso che regala stipendi da capogiro a gente che non ha il minimo rispetto per lui. Grazie per la preferenza accordataci.
Mi viene da dire "il mio voto non lo avranno", e forse sarà così. Considererò seriamente l'ipotesi di votare per quegli inetti di Rifondazione, quanto di più lontano dal realismo e dalla capacità politica esistente nel panorama italiano. Che bello, eh? Ma se la sono voluta, AntiDemocratici di "Sinistra" dei miei coglioni.
Parallelamente all'incazzatura, però, sorgono anche alcune domande. Perché? Che diavolo di guadagno ne traete, cari Ds? Scopo di un partito politico non è anche di fare le scarpe a tutto e a tutti, nemici o alleati che siano? Davvero non credevate che sareste cresciuti sulla Margherita? Avete così paura da preferire congelare tutto così come sta? Non avete i coglioni di presentarvi per quello che millantate di essere, "la grande forza democratica di sinistra"? O forse non lo siete, o ancora vi vergognate di esserlo, vi andate a nascondere da Cicciobello perché il Nano Faccia di Gomma vi dice che siete brutti e cùmunisti? Certo, la risposta ufficiale posso immaginarla: "questa è solo l'anticamera dell'imminente creazione del Partito Democratico di cui le Italiane e gli Italiani sentono il bisogno". Io sento il bisogno di gente seria e di sinistra (qualunque cosa voglia dire oggi) da votare. Il vostro "Partito Democratico" fate il piacere di ficcarvelo nel culo.

Qua finisce che divento un indie-boy...

Stars: Set Yourself on Fire [Arts & Crafts, 2005]
7/10
Li ho scoperti per caso, ascoltando la webradio di lastfm. Il pezzo era "What I'm Trying to Say", e appena l'ho sentito ho pensato "questi sembrano canadesi". Non sono certo un grande esperto di musica canadese, ma ci ho preso, e la cosa mi ha stupito.
Il disco è carino assai, pop tra il post-adolescenziale e il malinconico, crea sensazioni contrastanti simili a quelle che mi danno gli Smiths. Pezzi allegri, che prendono subito, e però ti fregano, perché sotto sotto hanno quella venatura di "bei tempi andati" che lentamente ti corrode. Alcune tracce sono clamorose ("Your Ex-Lover is Dead", "Reunion", "The Big Fight") e tutto l'album si mantiene su buoni livelli, sempre molto piacevole, vario, fantasioso e ben arrangiato. Niente di imperdibile, ma perfetto per qualche attimo di quella "malinconia sottile" che tanto avidamente mi piace gustare.

Modest Mouse: Good News for People Who Love Bad News [Epic, 2004]
8/10
Ho questo disco da quando è uscito, ma col fatto che non mi si era scaricato tutto, l'ho lasciato lì fino ad adesso senza ascoltarlo. L'altro giorno il random di winamp inserito inavvertitamente mi dirotta su "The World at Large" e scatta la folgorazione.
Non conosco affatto il genere e nemmeno so quale sia. Fatto sta che con questa voce dall'aria onestissima, a metà tra cantato e rappato, queste melodie direttissime, che ti ritrovi a fischiettare come se niente fosse e questi arrangiamenti eclettici, mi risulta davvero impossibile non restare stregato dall'album. Tocco di classe la batteria, che sarò matto ma per me ha tantissimo di hip-hop, oltre che di funk-punk, e in qualche modo avvicina tutto a Beck, perfino ai Gorillaz, con la differenza rispetto a questi ultimi che i pezzi sono tutti a fuoco. Proprio una bella sorpresa, che cresce a ogni ascolto e rischia di scalare la mia classifica dei preferiti. Leggo che i due album precedenti sono anche meglio: ho sentito qualche spezzone e sembrano non avere nulla degli elementi che tanto mi han colpito di questo, ma proverò senza dubbio lo stesso.

22.3.06

Un disco solo per fan, e mi dispiace per i non fan!

ProjeKct X: Heaven and Earth [Discipline Global Mobile, 2000]
9/10
Questo disco fa paura. Certo, in questo periodo sono particolarmente fissato coi King Crimson, per cui non fa affatto notizia che lo trovi così strepitoso. Però ci sono alcune cose da precisare. Prima di tutto, va detto che questi non sono i King Crimson. O almeno, dicono di non esserlo, e certamente va riconosciuto che, se i "veri" King Crimson erano quelli di "The ConstruKction of Light", questo è del tutto un altro gruppo. Fortunatamente.
Certo, fa un po' strano che una band registri due dischi durante le stesse session e li pubblichi sotto due nomi diversi, ma ancora più sorprendente è la differenza stilistica abissale tra i due album.
Se
"The ConstruKction of Light" è un (mediocre) "riassunto" di quello che sono stati i King Crimson fino a quel momento, purtroppo affogato nell'autocitazionismo e nella mancanza di idee, pare che queste ultime, e il "cuore pulsante" della band, siano finite tutte su "Heaven and Earth". Drum'n'bass, industrial, noise, ambient, shoegazer, heavy metal, turntablism sono messi in un frullatore assieme a una dose massiccia di "Crimson sound" a creare un disco che non sarà rock, ma senza dubbio è progressive, e nella maniera più attuale possibile.
Fermo restando che questi sono di gran lunga i King Crimson più rumorosi e free-form che abbia mai ascoltato - si direbbero improvvisazioni collettive - e che i termini di paragone scarseggiano, si può pensare a questi pezzi come la 21th century schizoid version dei brani più radicalmente cerebrali dei Crimson: da "Lark's Tongues in Aspic" a "Red", "Starless and Bible Black" e "Thrak" (tutte title-track, sarà un caso?). Breakbeat in 17/16, impressionanti groove di touch guitar, tanto mastodontici quanto sinuosi, dissonanze, incastri e sovrapposizioni stordenti da cui emergono, qua e là, squarci di armonia, lancinanti assoli e momenti di lirismo. Difficile dire chi la faccia da padrone con un sound così pieno e perfettamente amalgamato, in cui è difficile perfino distinguere Fripp da Belew. Senza dubbio buona parte del gioco la fa la batteria elettronica di Mastellotto, che sperimenta coi ritmi più nevrotici ed efferati, formando con Gunn una delle sezioni ritmiche più devastanti e groovy di cui abbia memoria.
Non è strano, però, che di questo disco-bomba non parli mai nessuno. Senza dubbio è parecchio distante da quello che l'ascoltatore-tipo dei Crimson ama e si aspetta: troppo rumoroso, troppo elettronico, non solo troppo attuale ma anche troppo futurista. D'altra parte, è difficile immaginare che questo disco, che sprigiona Crimson sound da ogni solco, possa piacere a qualcuno che non lo adori visceralmente. I più lo troveranno soltanto un modesto tentativo di tenersi al passo coi tempi di una band di dinosauri, oltre che cervellotici e autoindulgenti, ora anche a corto di idee. Valutazione, ovviamente, completamente miope. Dunque bisogna rassegnarsi al fatto che questo è "soltanto" un disco per fan, e mi spiace spesso questo sia considerato in maniera negativa o screditante. Per come la vedo io, varrebbe la pena di diventare Crimsoniani incalliti anche solo per poter capire e adorare un simile capolavoro.

18.3.06

Ascolti della settimana (Dom. 12 - Sab. 18 Marzo 2006)

Uzza! Ma io ho un blog!

[...]

No, la verità è che periodicamente me ne ricordavo, ma poi ritornare a scriverci era troppo sbatti. Non che avessi chissà che altro da fare, ma appunto per questo che volete che raccontassi?
[...]
Ok, è solo che sono pigro e scrivere cose con coerenza e costanza cozza con questa caratteristica.
Ma tant'è: siccome di roba sbatti ne scrivo comunque per altri motivi, ho pensato di riportarla anche qui.
E' dunque con somma gioia che informo la Gentile Clientela (che provvero' prontamente a resuscitare con costante e fastidiosa attività di spam a amici e conoscenti) che da oggi vi beccherete settimanalmente le mie "Playlist of the Week". Questo sempre nella speranza di incuriosire qualcuno e fargli ascoltare qualcosa di interessante.
Vabbé, bando alle ciance, levatevi pure dalle palle se la cosa non vi interessa.

[...]

Ehi? C'e' ancora qualcuno? Mi sa che son rimasto da solo. :)

della settimana:
Miles Davis: Bitches Brew [Columbia/Legacy 1969]
8,5/10 (R)
Ho questo disco da due anni, e da due anni non lo riascoltavo. Rimetterlo su due giorni fa e rimanerne completamente stregato mi ha fatto capire quanto sono cambiato in questi due anni.
Quei pezzi lunghissimi e dilatatissimi che mi sembravano mancare totalmente di una struttura o di un senso compiuto continuano a essere tali, con la sensibile differenza che adesso mi piacciono da matti. Questa musica è inafferrabile, ne sfugge la forma ma non la bellezza, è un mantra rituale avvolto in una coltre di fumi inebrianti. Un tappeto costante e proteiforme di piano elettrico, percussioni tribali ma lontane anni luce dai ritmi ossessivi a cui associamo solitamente l'aggettivo. Un sax baritono che gioca a fare il basso, a tessere un fondo vivo, figure di fumo che escono dallo strumento e si dissolvono lentamente scontrandosi con i guizzi della chitarra. E sopra a tutto, ma in costante dialogo con esso, lo strepitoso timbro di Miles, fuori da ogni schema musicale noto (ho provato a carpirgli qualche frase, e non segue una scala che sia una per più di tre note) ma assolutamente composto nella sua libertà. Contenuto ma non trattenuto, leggero, con queste frasi semplici e brevissime, lontanissime dalle scariche di note che caratterizzano lo stile di tanti jazzisti. Questo è solo il primo brano, ma su ognuno ci si potrebbe scrivere un romanzo. Non so cosa questo disco dovrebbe avere di jazz-rock: jazz elettrico ok, ma di rock non ci trovo nulla. Ma ha forse qualche importanza?

della settimana:
Dave Brubeck Quartet: Time Out [Columbia/Legacy, 1959]
9/10
Altro disco, altro pianeta, altro capolavoro. Ne avevo letto in lungo e in largo, e quando finalmente mi son deciso a comprarlo (in nice price) ho scoperto che questi brani li conoscevo da quando avevo si e no quattro o cinque anni. Mio padre aveva ed ha tuttora un disco di non ben precisata provenienza chiamato "Take Five", a nome del sassofonista Paul Desmond, e quante volte l'avrò sentito senza sapere cosa fosse!
Ma torniamo a noi. "Time Out" è un disco miliare non solo perché è, sembra banale dirlo, bellissimo, ma anche perché è - a detta del booklet, che vorrà tirare acqua al suo mulino ma proprio cazzate spero non ne spari - il primo album jazz a sperimentare con tempi composti estranei alla tradizione europea. Brubeck e soci sono reduci da una serie di viaggi in India e in Turchia, durante i quali suonano con musicisti locali e scoprono un intero mondo per cui il tempo "naturale" non è il 4/4, e decidono che è tempo che il jazz si accorga che il massimo dell'"esotismo" possibile non è il 3/4 da waltzer.
Nato dunque come disco di jazz sperimentale, senza la minima pretesa di successo di pubblico, pezzi come "Take Five" e "Blue Rondo à la Turk" (geniale "mischiotto" di struttore classiche, tempi e temi mediati dal folklore turco e progressioni blues) ne trainano le vendite stupefacenti anche e soprattutto per gli autori. E fino a qui è "solo" storia, la storia di un disco importante, ok, influente, e va bene anche questo, che ha venduto tanto... ma c'è dell'altro?
Ovviamente sì, ed è proprio l'"ovvia" bellezza di cui accennavo sopra. I pezzi giocano d'incastri con tempi insoliti, hanno qualcosa di inafferrabile, ma sono dannatamente orecchiabili. Nel senso buono della parola, ovviamente. Credo che tanto "progressive" nasca da qui, si sia sentito per benino questo disco prima di muovere i primi passi: tempi dispari e piedino che tiene il tempo. Ogni quanti battiti l'accento? Non c'è nemmeno bisogno di pensarci, viene da sé.

Altri ascolti:
King Crimson: The ConstruKction of Light [Discipline Global Mobile, 2000]
6/10
Era l'ultimo studio album dei Crimson che mi mancava, ma nella mia nuova e malatissima ottica del "un disco nuovo dei Crimson alla settimana fino a esaurimento scorte" la lacuna andava colmata. E' raro che il Re Cremisi sbagli una mossa, ma è difficile vedere in modo diverso questo "The ConstruKction of Light". Non che manchino le innovazioni, i consueti "passi avanti nel sound", e non si può neanche dire che il disco non abbia una sua personalità, solo mi pare sia un po' stanco, confuso e povero di idee. Ma andiamo per gradi.
"The ConstruKction of Light" è senz'altro il disco più cinico, schizofrenico, rumoroso e caotico dei Crimson. A ben vedere, è anche l'unico a cui possano davvero addirsi questi aggettivi. Bruford ha lasciato il gruppo e con lui se ne è andata ogni traccia del drumming jazzy e controllato dei dischi precedenti: il rimanente Pat Mastellotto sceglie per questo disco di passare esclusivamente alla batteria elettronica, trasformando la macchina ritmica dei Crimson in un carrarmato sonico ossessivo e nevrotico, non lontano dai territori di Idiot Flesh, Sleepytime Gorilla Museum, ma anche Napalm Death o Swans. L'interplay tra Fripp e Belew si fa più teso che in "Thrak", andando a rispolverare alcuni intrecci direttamente da "Discipline" ma rileggendoli in chiave schizoide e compulsiva: la title track ha qualcosa dei Don Caballero, ma chiusi in un manicomio e lì lasciati a marcire.
E allora cosa c'è che non va? C'è che a parte il sound caustico e graffiante i brani stentano a decollare, anzi non decollano proprio, chiusi nelle gabbie e nei cliché di trent'anni di storia del gruppo. Il disco è infarcito di un autocitazionismo esasperato, cosa che non sarebbe affatto negativa, non fosse che le riletture sono nettamente inferiori agli originali. "FraKctured" esce direttamente da "Starless and Bible Black" ma manca di groove, "Lark's Tongues in Aspic, Part 4" sostituisce la lucidità dei crescendo con la fredda efferatezza di chi ha finito le idee e si appiglia con le unghie e coi denti al suo stesso mito e al suo sound.
Non è un caso che gli unici pezzi davvero meritevoli, "Into the Frying Pan" (dove è Belew a fare la parte da leone) e "Heaven and Earth" (accreditata al ProjeKct X) siano quelli che più si distaccano dai temi compositivi di brani precedenti. Nel complesso un lavoro non malvagio, ma molto sotto al consueto standard e tutto sommato di nessuna utilità.

Candiria: 300 Percent Density [Century Media, 2001]
6,5/10
Noto che da un dieci anni a questa parte si sta sviluppando una tendenza a costruire musica sul virtuosismo batteristico. Partendo (manco a dirlo) dai King Crimson di "Thrak", passando per i Don Caballero, gli Hella o gli Ahleuchatistas, fino ai Meshuggah e ai Dillinger Escape Plan sempre di più la batteria diventa lo strumento che detta le regole e determina le composizioni. La chitarra, strumento solista per eccellenza del rock, svolge un ruolo meno tecnico, martellando con sciabolate dissonanti la struttura messa in piedi dalla batteria.
Anche i NewYorkesi Candiria si possono facilmente inquadrare in questa tendenza, in quanto, nei loro brani più riusciti, pedissequi cloni dei Meshuggah. I Candiria caricano la componente rap della voce, levano quei brandelli fulminanti di chitarra solista che caratterizzano la musica degli svedesi, e si muovono su un campo più diretto, meno freddo e lucido. Musica dal forte impatto aggressivo, dunque, purtroppo spesso solo giustapposta, e non davvero fusa, a stacchi jazzati o addirittura fiatistici. Alcuni pezzi tentano la strada del "cantato" hip-hop, ma i risultati non sono sempre dei migliori. Qualche brano è molto buono ("Contents Under Pressure", "Signs of Discontent"), l'album è godibile, ma nel complesso non lascia il segno.

Glider: One Day at a Time [The Gaia Project, 2006]
7,5/10 (R)
Siamo nei territori del post-rock "emotivo" di Godspeed You Black Emperor!, Explosions in the Sky, Sigur Ròs, 65 Days of Static. Il disco in questione non è particolarmente innovativo, ma è piuttosto originale nella sintesi e dannatamente emozionante. La chiave di volta del disco sta tutta nella fusione tra le emotività e le atmosfere post-rock e quelle shoegazer: arpeggi lenti, progressioni inesorabili, paesaggi nordici aperti, batteria che si fa man mano incalzante... e pile e pile di effetti sulla chitarra, riverberi, voci soffuse, smussate e lontane, sussurrate e dimesse. "The Processional" è plagiata di brutto da "Untitled 3" dei Sigur Ros, ma tracce come "Shortly After Two", "Over the Ocean", "Dreams Only Go So Far", "Borderline", "Can You See Them" vanno dritte al cuore, carezzandolo con una mano e pugnalandolo con l'altra. Un must-have per gli amanti del genere!

Icy Demons: Fight Back! [Cloud Recordings, 2004]
8/10
Questo non è uno di quei dischi che spaccano il mondo, e con ogni probabilità non sarà tra quelli che saranno ricordati tra dieci anni né tra quelli che verranno riscoperti tra venti. E' un disco apparentemente semplice, perché immediato, caldo e confortevole, che però rifugge ogni classificazione: basta fermarsi un attimo, concentrarsi sulla musica, per ritrovarsi senza termini di paragone, spaesati. Si potrebbe citare certo post-rock, certo indie-folk, ma l'atmosfera sembra venire da una Canterbury di trent'anni fa, con qualche spennellata anche della Germania del tempo. Tre sono i nomi che mi vengono in mente: Robert Wyatt, i Can e i Manitoba/Caribou. E in realtà la musica degli Icy Demons non ha molto a che vedere con nessuno di loro.
E' uno di quei dischi che sviluppa l'attenzione sui dettagli. Non solo della musica, ma anche e soprattutto delle proprie azioni. Ricordo una serie di "epifanie" avute montando una libreria Ikea ascoltando "Rounds" di Four Tet. Questo disco mi provoca una sensazione simile: luce che filtra in casa la mattina facendo brillare la polvere sospesa nell'aria, altrimenti invisibile. Oggetti e azioni quotidiane che d'un tratto acquistano un nuovo e inatteso significato. Questo disco ha il potere di mostrare la magia nascosta nelle cose. Non mi sembra un fatto da poco.

Tortoise: TNT [Thrill Jockey, 1998] 8/10 (R)
Van Morrison: Astral Weeks [Warner Bros, 1968] 9/10 (R)
Oi Va Voi: Laughter Through Tears [Outcaste, 2004] 7/10 (R)
Broken Social Scene: You Forgot It In People [Paperbag, 2002] 7,5/10
Kyuss: Blues for the Red Sun [Dali, 1992] 9,5/10 (R)
Arcade Fire: Funeral [Merge, 2004] 8/10 (R)
Motorpsycho: Timothy's Monster [Bird Cage, 1996] 7,5/10
Yndi Halda: Enjoy Eternal Bliss (EP) [Big Scary Monsters, 2005] 6/10

(R) indica i riascolti