MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


30.10.06

Due mesi dopo

Quanto tempo è passato? Solo due mesi. Eppure ho già voglia di mollare tutto e ripartire.

Al ritorno dalla Francia, le perplessità erano tante. Ne avevamo già discusso, tra noi avventurieri dell'Interrail: non era stato il viaggio che ci aspettavamo, più per le modalità che per le mete. Ora, due mesi dopo, dell'insoddisfazione da speranze disilluse che mi aveva riaccompagnato a casa non resta più traccia. Rimane solo il ricordo di tre settimane spese vivendo alla giornata, non certo con l'assoluta libertà che ingenuamente pensavo avremmo avuto, ma in ogni caso senza nessuna preoccupazione o progetto che andasse oltre l'immediato futuro. Tre settimane con lo zaino in spalla (ora mitizzo un po', ma ci sta) e un sacco di speranze nel prossimo posto che avrei visitato, alle volte di gran lunga superate dalla realtà, altre risolte in sonore palate (vedi musei chiusi, treni che non esistono, città da cui non si riesce a scappare...). Ma soprattutto venti giorni di totale indipendenza, con tutto quanto flessibile e in mano nostra: anche se allora ci lamentavamo proprio di proseguire a tappe forzate, di poter decidere molto meno di quel che avremmo sperato... quante volte abbiam cambiato piano da un giorno con l'altro, o addirittura da un momento all'altro? Certo, spesso le opzioni erano limitate, non c'era mai quello che cercavamo, e quando c'era non potevamo andarci, ma il bello è stato anche arrangiarsi con quello che passava il convento, magari perdendo un sacco di tempo per poi restarci con un fico secco.

Sessanta giorni fa mi dicevo che era stata tutto sommato una bella esperienza, con i suoi pro e i suoi contro, ma non l'avrei ripetuta. Ora vedo molto più i pro dei contro, e fermo restando che eravamo un numero sbilenco e la prossima volta macchina e bona, avessi i soldi ripartirei anche domani.

27.10.06

Ascolti della settimana (23-27 ottobre)

Provo a sostituire le faccine ai voti, vediamo se e' comprensibile. Nell'ordine, dal minore al maggior gradimento:
Bocca cucita Indeciso Pazienza Sorriso Occhiolino Figo Scioccato

Gospel: The Moon is a Dead World (2005) Figo (R)
Questo disco rappresenta l'incontro che attendevo da tempo tra screamo, postcore "à la Neurosis" e progressive rock. Perdersi nelle descrizioni è inutile, perché l'album suona esattamente come ce lo si può aspettare (e questo è un po' il suo difetto): cantato in scream disperatissimo, ritmiche intricate e ipercinetiche, manierismi chitarristici post-hardcore, continue transizioni d'atmosfera e cambi di tempo, onnipresente organo a aumentare il drammatismo, crescendo a profusione. Il disco pero' e' travolgente, senza un momento debole, i pezzi epici e tesissimi, con atmosfere apocalittiche e alcuni passaggi davvero da lacrime agli occhi. Must have per tutti gli appassionati dei generi in questione.

Idiot Flesh: The Nothing Show (1995) Figo (R)
Caboto: Hidden or Just Gone (2006) Figo (R)

Long Fin Killie: Houdini (1995) Scioccato
L'avevo da un po', ma ancora non l'avevo ascoltato. Poi mi e' stato consigliato come "tutto quello che piace a te in musica" e l'ho messo su con il massimo delle aspettative. Perfettamente corrisposte. Post-rock fatto di canzoni, che sposa elementi distantissimi ottenendo un sound unico e paradisiaco. Voce acuta e flebile, quasi sussurrata, drumming scarno, ripetitivo ma coloratissimo e jazzato, intrecci di chitarra vagamente wave ma molto originali, spesso giocati sugli armonici. Basso tanto prominente quanto discreto, inserti fiatistici o violinistici (un po' alla Dirty Three), in una magica alchimia che rievoca i Talk Talk in maniera del tutto personale. Qualche brano e' un po' piu' tipicamente rock, con voce filtrata e esplosioni chitarristiche shoegazer (notevole in particolare "The Heads of Dead Surfers" con Mark E. Smith dei Fall). E' un capolavoro, perche' se ne parla cosi' poco?

Television: Marquee Moon (1977) Sorriso (R)
The Feelies: Crazy Rhythms (1980) (R)
Lula Côrtes & Zé Ramalho: Paêbirú (1975) Scioccato

Ground Zero: Revolutionary Pekinese Opera Ver.1.28 (1996) Scioccato
Ground Zero: Plays Standards (1997) Figo
Oh che bella scoperta. Questo genere di "pasticci" no-wave/noise/jazz/taglia-e-cuci sono la classica cosa che puo' solo farmi venire il voltastomaco o piacermi da matti. Fortunatamente questi due dischi hanno sortito il secondo effetto. Il primo disco è davvero eccezionale, molto coeso nonostante l'estrema diversità del materiale alla base dei pezzi. C'e' un retrogusto molto progressive nel drumming (che spesso si avventura in territori hip-hop, altra cosa che adoro) e nell'impostazione generale, elemento comune di parecchio avant-noise giapponese peraltro. Il secondo disco è composto solo da cover, tra cui una dei miei adorati Massacre ("Bones") e una folgorante reinterpretazione del classicone "I Say a Little Pray for You". Uno spasso.

Art Fleury: I Luoghi del Potere (1980) Scioccato (R)
Art Fleury: The Last Album (1981) Figo (R)
Grandissimo gruppo bresciano, gli Art Fleury pubblicano un primo album a metà tra Faust ed Henry Cow e un secondo più astratto e wave. La vena e' quella del Rock in Opposition, fortemente schierata accanto al movimento operaio. Il primo disco e' formato da quattro lunghi brani, collage di annunci ferroviari, spezzoni radiofonici, "found sounds", chitarra acustica, batteria, synth, archi e fiati vari e chi piu' ne ha piu' ne metta. Pezzi variegatissimi ma strepitosamente coesi, con accenni di fraseggi jazz, cavalcate kraute, martellamenti industriali, sferzate stravinskiane e tappeti di sintetizzatori a formare paesaggi alienanti quanto la società che raffigurano. Davvero un album da riscoprire, peraltro mi pare ne stia uscendo o ne sia appena uscita una ristampa.

Black Flag: The Process of Weeding Out (1985) Pazienza
Quicksilver Messenger Service: Happy Trails (1969) Scioccato (R)
Noir Désir - Veuillez rendre l'âme (à qui elle appartient) (1989) Figo
Captain Beefheart - Trout Mask Replica (1969) Occhiolino (R)
Terry Riley - A Rainbow in Curved Air (1969)

21.10.06

Ascolti della settimana (14-22 ottobre)

Settimana dedicata al Brasile, oltre che ai gamelan indonesiani di cui ho già scritto. Ovviamente, però, c'è stato spazio anche per altro...

Tropicália: A Brazilian Revolution in Sound (2006, compilation) 7,5/10
Non so quanto questa compilation sia completa o indicativa della scena tropicália, ma senza dubbio è davvero accattivante. Probabilmente e' focalizzata essenzialmente sull'aspetto "pop" del fenomeno, perché delle influenze avanguardistiche non ne ho vista manco l'ombra, eppure avevo letto che erano una delle caratteristiche del movimento. Qual che e' certo e' che non mi aspettavo moltissimo (ho sempre avuto pregiudizi verso la cultura "carioca", specie verso quella musicale) e invece ho finito per apprezzare anche le cose che avrei giurato di detestare, in particolare l'impianto bossa nova, gli arrangiamenti orchestrali e i "colori" di molte canoni. Alcune mi han stregato di piu', altre di meno: ancora qualche riascolto e vedro' che artisti approfondire.

Tom Zé: omonimo (1968) 7/10
Os Mutantes: omonimo (1968) 8/10 (R)

Casa das Máquinas: Lar de Maravilhas (1975) 6/10
Rock barocco brasiliano, che incorpora vari elementi dei colossi d'oltreoceano, dai Beatles agli Yes passando per Pink Floyd, Led Zeppelin... I pezzi non sono eccezionali, e sembrano piu' che altro riflettere un'ingenua volontà di imitazione dei propri idoli. Alcune melodie sono davvero buone, e cosi' certi lirismi di chitarra ("Astralizaçao" e' un piccolo capolavoro), e il disco e' nel complesso piacevole, ma tutt'altro che memorabile, anche perche' l'elemento di interesse che poteva nascere dalla provenienza (il Brasile) si risolve nel cantato in portoghese, senza lasciare traccia di tropicalismi, bossa nova o che altro.

Lula Côrtes & Zé Ramalho: Paêbirú (1975) 8/10
Capolavoro del folk libero e dilatato, a meta' tra psichedelia e progressive, Paêbirú e' un disco eccezionale, da ricondurre ad ogni costo fuori dal dimenticatoio in cui la sua provenienza l'ha cacciato. Un disco per molti versi simile a "The Cylce is Complete", tanto che potrebbe essere definito la sua controparte latino-americana: folk, tropicalismo, jazz e raga-rock si mescolano creando isole musicali senza tempo, fatte di frasi musicali che svolazzano solo accennate, jam destrutturate ma forsennate e intrise di psichedelia, e soprattutto tanta malinconia.

Van Morrison: Astral Weeks (1968) 9/10 (R)

Bubu: Anabelas (1978) 7,5/10
Progressive sinfonico dall'Argentina, prevalentemente strumentale, dal forte impianto jazz-rock e ricco di echi crimsoniani (sia del primo che del secondo periodo). Musica molto variopinta: c'e' spazio per sax, violino, flauto oltre che per un'ottima chitarra, che ora tesse finissimi arabeschi di sustain, ora arroventa le jam jazzate con riff corposi e caldissimi. I tre pezzi costituiscono sostanzialmente un'unica composizione, che spazia tra progressive melodico, contorsionismi ritmici, rievocazioni classicheggianti (la solita "Pomp and Circumstance"), cori (sempre molto sobri) e momenti di puro delirio free-form. Disco non originalissimo ma senza dubbio meritevole, con un sound che e' un'alchimia davvero invidiabile: non e' facile "mettere d'accordo" quattro strumenti potenzialmente solisti nell'accantonare gli esibizionismi e convergere a un discorso unitario e compatto. Ogni elemento si compenetra alla perfezione, in un flusso continuo dalle atmosfere "calienti" e briose.

The Work: Live in Japan (1982) 7,5/10 (R)
CCCP Fedeli alla Linea: Affinità-Divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi (Del conseguimento della maggiore età) (1985) 7,5/10 (R) (*)
Radiohead: Kid A (2000) 8,5/10 (R)

Ulan Bator: Ego:Echo (2000) 8/10 (R)
Ulan Bator: Rodeo Massacre (2005) 7,5/10 (*)
Dei franco-italiani Ulan Bator ho solo questi due dischi. Il primo e' un capolavoro, e c'e' poco da dire. Il secondo e' parecchio diverso: sono chiaramente ancora loro, ma il sound si e' parecchio ampliato, incorporando schemi e sonorita' provenienti dritte dritte dal mio post-rock preferito (Mogwai, GYBE!, Explosions in the Sky). Ne esce un album emotivamente travolgente, fatto di un distacco estremo che evolve in tensione, sempre crescente fino all'esplosione e alla catarsi totale. Probabilmente il miglior gruppo progressive (se vogliamo chiamarlo cosi', ma l'impianto e' sostanzialmente indie) d'Europa.

Gospel: The Moon is a Dead World (2005) 7,5/10 (R)
Caboto: Hidden or Just Gone (2006) 7,5/10 (R)
Hans Reichel: Stop Complaining / Sundown, Duets with Fred Frith and Kazuhisa Uchihashi (1991) 6,5/10

Steve Reich: Music For 18 Musicians (performed by Ensemble Moderne) (1999)
Steve Reich: Different Trains [Kronos Quartet] / Electric Counterpoint [Pat Metheny] (1989) (1)
Primo contatto con la musica di Steve Reich. "Music for 18 Musicians" mi ha lasciato esterrefatto. Meraviglioso. Mi aspettavo non-musica, con una nota ogni venti minuti e possibilmente indistinguibile dalla precedente, invece ho trovato un lavoro ricchissimo, multisfaccettato e soprattutto molto melodico, orecchiabile. Lo stile compositivo casca a fagiolo, data la mia attuale infatuazione per i gamelan: ogni strumento ha un loop, magari di diversa lunghezza, e il discorso musicale nasce dai giochi di incastro che si creano nelle intersezioni. Le variazioni sono costanti, ma riguardano pochi strumenti alla volta: il risultato e' un flusso costantemente in evoluzione, fortemente dinamico ma senza stacchi o bruschi cambiamenti. Reich gioca su temi estremamente ariosi, suoni puliti e cristallini, creando un'atmosfera celestiale, estatica. Credo finalmente di aver trovato la fonte di alcuni schemi e atmosfere dei Godspeed You Black Emperor! e altri gruppi che adoro.

(R) indica i riascolti, (1) le prime impressioni, (*) le opinioni molto provvisorie

20.10.06

Gamelan

In questi giorni mi sono dedicato all'esplorazione del gamelan, la forma musicale piu' nota a occidente della musica tradizionale indonesiana. La sua influenza sulla musica occidentale del '900 e' stata determinante, come testimoniato dalle numerose opere e concezioni musicali da essa ispirate: si va da Claude Debussy, Bela Bartok, Oliver Messiaen, Steve Reich, John Fahey fino a John Cale, i King Crimson o la colonna sonora dell'OAV Akira.
In prima approssimazione, un gamelan puo' essere definito come un set di strumenti (principalmente idiofoni, metallofoni, membranofoni e aerofoni) specificamente costruiti per suonare assieme, su una scala che e' caratteristica del particolare set. Strumenti presi da gamelan diversi non possono suonare assieme, e le rare occasioni in cui questo capita sono caratterizzata de forti dissonanze. Questo set di strumenti e' disposto ordinatamente per terra e suonato da un largo ensemble di musicisti, in genere seduti, che finisce per essere indicato anch'esso come gamelan.



La musica suonata ("gamelan" anch'essa) riflette concezioni radicalmente diverse da quelle che caratterizzano la musica occidentale e svariate altre forme di musica extraeuropea. Essa e' basata sulla cosidetta struttura colotomica: a ogni strumento e' associato un ciclo di lunghezza differente, e i diversi cicli sono gerarchicamente ordinati (o meglio "annidati") a seconda della loro lunghezza. Il piu' lungo dei cicli e' quello del gong ageng (che solitamente e' proprio un gong, ma paradossalmente puo' essere un altro strumento che svolge lo stesso ruolo), e la sua lunghezza e' il minimo comune multiplo delle lunghezze degli altri cicli. Gli altri cicli hanno lunghezze non necessariamente divisibili fra loro: i gamelan sono dunque caratterizzati da una marcata poliritmia. Alcuni strumenti (detti colotomici), solitamente metallofoni, svolgono sostanzialmente il ruolo del gong ageng per gruppi ristretti di strumenti, ripartendo cosi' il "giorno sonoro" del gong ageng in sottocicli di lunghezza inferiore.
Assieme agli strumenti impiegati, sono le differenze a livello colotomico, prima ancora delle singole parti strumentali, a caratterizzare un particolare stile o una particolare esecuzione. Altri elementi fondamentali del gamelan (o di suoi particolari stili) sono il kotekan, ovvero l'alternanza rapidissima tra due o piu' strumenti per creare una melodia, l'impiego in varie forme di sostanzialmente due scale (pélog, un'ettatonica basata su un temperamento a 9 toni, e sléndro, una pentatonica) e l'abbinamento degli strumenti in coppie, accordate in maniera leggermente sfasata di modo da produrre un battimento (della stessa frequenza per ogni coppia nello stesso gamelan) culturalmente associato alla presenza del divino.

Si possono trovare informazioni piu' dettagliate su wikipedia (gamelan, colotomy, kotekan e voci correlate) e soprattutto sul vastissimo sito (in francese) Gamelan, Architecture Sonore.

Ho ascoltato per il momento quattro raccolte, tutte (un po' a fatica!) reperibili su internet tramite p2p o rapidshare/megaupload:


Bali: A Suite of Tropical Music and Sounds (World Network, 1995)


Java - Pays Sunda: Musique Savantes, Vol. 2 - The Art of Gamelan Degung (Ocora, 1996)


Anthologie des Musiques de Bali, Vol. 2: Gamelan Virtuoses (Buda Musique, 2000)


Indonesia: Music from the Nonesuch Explorer Series (Nonesuch, 2000)

Sono ancora alla ricerca di "Discover Indonesia" (Smithsonian Folkways, 2003), "The Rough Guide to Indonesia" (World Network, 2000) e "Night Recordings from Bali" (Sublime Frequencies, 2003). Le quattro raccolte che ho sentito mi sono parse tutte valide e interessanti, alcune piu' complete, altre piu' approfondite. In particolare consiglio quella edita dalla francese Buda Musique, caratterizzata dalla predominanza di timbri metallici e da musica estremamente varia e complessa, che mi ha ricordato molto direttamente certe cose un po' alla Don Caballero (sara' che tra le fonti di ispirazione di questi ultimi ci sono Steve Reich e i King Crimson). Quella che emerge dalle raccolte, in ogni caso, è musica molto distante dalla nostra concezione abituale, ma estremamente affascinante, godibile e, in conclusione, davvero bella.

13.10.06

Ascolti della settimana (7-13 ottobre)

In questi giorni ho ascoltato un po' troppa roba nuova. Purtroppo la curiosità per le novità porta facilmente alla "bulimia" musicale, e se col tempo ho imparato abbastanza a trattenermi ogni tanto qualche sana abbuffata ci sta. Non è per questo, però, che su alcuni dischi (quelli segnati con l'asterisco) non sono riuscito ancora a farmi un'idea vera e propria, ma perché sono molto lontani dai miei ascolti abituali e assimilarli mi risulta difficile. Il voto che ho messo accanto, nel loro caso, indica solo quanto mi hanno colpito o interessato.
Questa settimana ho cercato di scavare un po' nella musica sperimentale di metà anni '60, per comprendere un po' meglio gli aspetti meno evidenti dell'era psichedelica. Ho così rispolverato qualche vecchia conoscenza e, con l'aiuto del listone di Nurse with Wound appena scoperto, pescato tra le bizzarrie più svariate, trovando dischi interessanti così come egregie ciofeche.
Ho poi formulato il buon proposito di ascoltare almeno un disco di jazz "vero", uno di musica non-occidentala, uno di classica e uno di colta contemporanea al mese, magari ripartendoli sulle varie settimane. L'interesse c'è da tempo ma, visto che l'ascolto richiede molta concentrazione, va sempre a finire che "rock e dintorni" prendono il sopravvento sulle buone intenzioni. Vediamo come va...

Alan Sondheim: Ritual All 7-70 (1967) 7,5/10
Improvvisazione liberissima, di stampo jazzistico ma aperta anche a strumenti non occidentali. Tredici pezzi strumentali dai titoli originalissimi ("770", "771", "772"... l'unica a non seguire lo schema è "June") basati più sulle tessiture che sulle melodie. Il disco è proprio bello, si respira un'atmosfera di divertimento e di cazzeggio ma non di quello cazzone o freak tanto in voga nel periodo. Il fascino è più borghese, sembra musica suonata seduti sui comodi divanetti di un circolo intellettuale un po' snob. Un atteggiamento più da avanguardie del primo novecento che da anni '60! La musica è animata da una curiosità distaccata, "da ricchi", che cerca quasi di spacciarsi per un semplice passatempo, un modo come un altro per ammazzare la noia. Però quel che ne esce è ben di più: un disco fantasioso, multisfaccettato e soprattutto caldo e gradevolissimo, sia da lasciare in sottofondo che da ascoltare attentamente, facendo caso ogni volta a nuovi dettagli.

AMM: Ammmusic (1966) 6,5/10 (R)
Cromagnon: Orgasm (1969) 4,5/10
Les Rallizes Denudes: 67-69 Studio et Live (1991) 4,5/10 (R)
John Cale: Stainless Gamelan: Inside the Dream Syndicate Vol. III (2003) 7,5/10 (*)
The Velvet Underground & Nico: [omonimo] (1967) 7,5/10 (R)
The Velvet Underground: White Light/White Heat (1968) 7/10 (R)
The Velvet Underground: [omonimo] (1969) 6/10
The Velvet Underground: VU - A Collection of Previously Unreleased Recordings (1985) 6/10

Igor Wakhevitch: Docteur Faust (1971) 7,5/10
Disco dalle atmosfere scurissime, "Docteur Faust" del francese Igor Wakhevitch si colloca in qualche modo dalle parti degli Amon Duul II, con una psichedelia tetra, sinfonica e dilatata, ma particolarmente lucida. Wakhevitch impiega un'intera orchestra oltre ai "soliti" strumenti del rock: ogni strumento e' pero' usato piu' come "colore" di una tavolozza che come mezzo di esposizione tematica. Accanto a una lunga composizione di 10 minuti, "Materia prima", stanno sette pezzi piu' brevi e un'introduzione. "Materia prima" si apre con un bell'ostinato di basso, gia' cupissima, per poi evolversi in un pezzo fortemente orchestrale. Gran colpi d'arco, timpani a profusione, contrappunti magmatici di fiati, il ragazzo ci e' decisamente rimasto sotto con Stravinsky. L'orchestra si quieta ed emerge un coro che declama frasi in tono e a tema sepolcrale, mentre pian piano emergono i sinistri scricchiolii elettronici che portano nelle campane a morto di "Eau Ardente". Spezzoni di un discorso del Papa in latino, pioggia, rumore di carri merci e schiocchi di frusta accompagnano l'emergere di loop di fantascientifico e scurissimi accordi di corno e violoncello.
Insomma, l'idea del disco e' questa: orchestra, stramberie elettroniche, rumorismi simil-industrial, voci oltretombali o ripescate da nastri registrati, qualche raro tema melodico accompagnato da una batteria marziale, tutto al fine di evocare atmosfere apocalittiche. Nonostante la descrizione possa far apparire il contrario, il disco non e' mai pomposo o gratuito, anzi e' davvero a fuoco e coinvolgente.

Echo and the Bunnymen: Crocodiles (1980) 7/10 (R)
Echo and the Bunnymen: Ocean Rain (1984) 7/10 (R)
The Comsat Angels: Waiting for a Miracle (1980) 6,5/10
Wire: Pink Flag (1977) 5,5/10 (R)
Coil: Horse Rotorvator (1986) 7/10
Dead Can Dance: Spleen and Ideal (1985) 5,5/10 (R)
Dead Can Dance: The Serprent's Egg (1988) 6,5/10 (R)
Dead Can Dance: Aion (1990) 7/10 (R)
Sainkho Namtchylak: Stepmother City (2000) 5,5/10 (R)
Tuvinian Singers & Musicians: Chöömej : Throat-Singing From The Center Of Asia (1993) 7,5/10 (R) (*)

Orphaned Land: Mabool: The Story of the Three Sons of Seven (2004) 6,5/10
Non sono un amante né un gran conoscitore del death metal, tendo a detestare il rock orchestrale, peggio che peggio il metal. Eppure quest'album degli israeliani Orphaned Land mi ha convinto, nonostante il tono pomposo e magniloquente, i synth, gli archi, i cori operistici, il suono immondo e l'ossessione per i bending del chitarrista solista. Merito essenzialmente dell'ottimo sposalizio tra metallo e musica tradizionale araba (non so se poi quest'ultima sia "vera", ma ai fini del risultato poco importa), che rende l'atmosfera del disco davvero particolare. A differenza che in altri esperimenti world-metal (penso ai Sepultura) i motivi tradizionali hanno un peso molto rilevante e non sono solo una "spezia". La compenetrazione dei linguaggi non è certo totale: si tratta pur sempre di death metal occidentale "condito" con massicce dosi di salsa arabeggiante, non veramente di death metal composto "alla orientale". Eppure la giustapposizione suona quasi paritaria, e non si ha la sgradevole sensazione di "temi Alpitour irranciditi" che - almeno a me - provoca la musica dei Nile. Il disco è un concept su non so bene che inondazione, e ha di certo il difetto di essere prolisso, ma nel complesso è un lavoro interessante e piacevole.

Nightwish: Once (2004) 5/10

The Postman Syndrome: Terraforming (2002) 8,5/10 (R)
"Terraforming" degli statunitensi The Postman Syndrome è uno di quei capolavori che vengono dimenticati ancora prima di essere scoperti. Un caleidoscopio di stili eterogenei che in qualche modo suona incredibilmente compatto e fa quasi domandare "com'e' che nessuno ci aveva ancora pensato?". Un condensato delle tendenze piu' "progressìve" della storia del rock, dall'alternative rock di Radiohead e Oceansize alle varie branche del post-hardcore e del post-sludge (Neurosis, Pelican, At the Drive-In, Dillinger Escape Plan) passando per il buon vecchio prog anni '70 (Yes, King Crimson), certo nu-metal (Korn, Deftones ma anche System of a Down), il metallo "matematico" di Tool e Meshuggah, le atmosfere dei Dredg da una parte e degli Explosions in the Sky dall'altra.
Impossibile pero' pensare di esaurire la descrizione nell'enumerazione dei rimandi che il disco evoca fin dalle prime note. "Terraforming" e' soprattutto un disco fatto di pezzi fantasiosi, variopinti e coinvolgenti come pochi. Ogni passaggio, ogni riff, ogni cambio di tempo e di stile suona assolutamente necessario: la musica e' elaborata e ambiziosa ma mai prolissa, noiosa o fine a se' stessa. Cosa non secondaria, come in ogni disco prog che si rispetti la melodia ha un ruolo fondamentale, e i pezzi sono, a modo loro, squisitamente pop.
Forse il miglior ritratto di cosa possa voler dire "progressive rock" oggi, "Terraforming" fornisce anche un ottimo esempio di come sia possibile trovare un'unita' nella "diaspora" metallica degli ultimi anni, e senza mai risultare ostici o gratuiti.

East of the Wall: [omonimo] (2006, EP) 7/10 (R)
Gli East of the Wall, assieme ai Day Without Dawn, nascono dallo scioglimento dei The Postman Syndrome. Se l'EP dei Day Without Dawn gioca (male) sulla fusione progressive/alternative-rock, gli East of the Wall prendono invece la direzione opposta, esplorando quei "nuovi" territori al confine tra post-rock, post-sludge e progressive rock gia' dipinti egregiamente dagli ultimi Pelican, dai Red Sparowes e dai Russian Circles. Il disco non e' nulla di sorprendente quanto "Terraforming", e' piu' vicino stilisticamente allo standard del genere, ma senza dubbio si colloca tra i piu' riusciti del settore e segna un ulteriore passo nella sua evoluzione. Lo stile risente fortemente di quello dei Postman Syndrome, specie nel piglio alternative rock e nell'attitudine progressiva. Qua e la', specie nelle parti piu' rilassate, affiorano reminescenze dei Maudlin of the Well, confermando l'impressione che il gruppo stia procedendo piu' o meno deliberatamente alla "ricongiunzione" dei diversi fili del metal alternativo di oggi.

Telstar Ponies: Voices from the New Music (1996) 7,5/10
Alle radici dei Mogwai stanno i Telstar Ponies, anello di congiunzione tra slo-core e post-rock "emotivo". Nata da una costola dei Teenage Fanclub, in questo secondo disco la band di Glasgow arriva a uno stile ibrido, tanto proteso verso le proprie radici (i Sonic Youth sono percepibilissimi) quanto rivolto al futuro, con l'intuizione del "crescendo" che muove i suoi primi passi. E' un album di canzoni, tristissime per la maggior parte, litanie da ultimi sopravvissuti all'inverno post-atomico. Voci rassegnate, chitarre rigorosamente in minore, la tensione sale piano piano ma ancora non arriva ad esplodere, trasmettendo un enorme senso di vuoto. Da spararsi nelle palle, ma bello bello.

Mogwai: Young Team (1997) 8/10 (R)

Nuccini!: Matters of Love and Death (2006) 5,5/10
Primo disco solista del chitarrista dei Giardini di Mirò. L'intento di parecchi brani sembra quello di sposare anticon e post-rock, ma spesso il risultato e' piu' che altro: parti vocali e beat che vanno in una direzione - basi/loop/texture che si fanno i fatti propri. Sarebbe stata necessaria piu' integrazione, perche' cosi' la sensazione e' quella di due mondi messi a contatto forzatamente e senza curarsi troppo di farli "collaborare". Un altro problema è la piattezza delle parti vocali. All'interno di ogni brano la varieta' metrica e' minima e limitata prevalentemente a alternanze del tipo "strofa-ritornello". Peraltro trovo discutibile la scelta dell'inglese: mettersi alla prova con una lingua "difficile" per il rap come l'italiano avrebbe probabilmente reso il tutto piu' interessante, anche perche' ho idea che uno stile un po' alla Why? potrebbe attaccare bene sulla nostra lingua. I pezzi piu' risuciti alla fin fine son quelli che si allontanano un po' dalla ricerca del connubio azzardato ad ogni costo, puntano un pelo piu' in basso e azzeccano quel paio di cadenze giuste ("God is the Spider"). Nel complesso un lavoro immaturo, un po' "buttato li'", tra cliché, imitazioni spregiudicate (e non molto riuscite) dei cLOUDDEAD, eccessive ambizioni e mancanza di idee compositive solide. Si fa ascoltare, ma si sente la mancanza di "piatti forti".

Shipping News: Very Soon, and in Pleasant Company (2001) 7,5/10
Venetian Snares: Huge Chrome Cylinder Box Unfolding (2004) 6/10 (R)
Venetian Snares: Rossz Csillag Alatt Született (2005) 7/10 (R)
Merzbow: 1930 (1998) 4,5/10 (*)
Merzbow: Aqua Necromancer (1998) 6,5/10 (*)

(R) indica i riascolti, (*) i dischi su cui un'idea vera e propria ancora non me la sono fatta

10.10.06

Ultime Notizie dalla Cameretta

Il Gran Svuotamento Scatoloni è completato, la libreria Ikea nuova l'ho montata, il cassettone fornito in dotazione dal colleggio è fuori in corridoio in attesa di qualche filantropo che lo adotti, e al suo posto ha trovato posto una bella lavagna che, non essendo rivendicata da nessuno, ho pensato potesse tranquillamente diventare mia. Ci sono ancora un paio di questioni da affrontare, una su tutte il problema della signora delle pulizie che in combutta con l'economo sostiene che mi debba tenere l'ingombrante e inutilissimo cassettone in camera, ma sostanzialmente tutto è pronto per un nuovo anno alla camera 37 del Collegio Ghislieri. Avrei potuto sceglierne una più spaziosa, ma l'anno passato mi son trovato bene e ho preferito non cambiare: la finestra da' sulla facciata, sono in Quadrato ovvero nel centro nevralgico del collegio, ma la posizione defilata e la doppia porta (con tanto di mini-anticamera!) fanno sì che ci si possa facilmente isolare dal bordello che impera a ogni ora del giorno e della notte.
Scrivo tutto questo perché ho pensato di portare a Pavia la macchina fotografica digitale, e ho fatto un po' di foto ai vari angoli della stanza. Sono quello che sono, perché l'alogena fa una luce giallastra e tutto sommato debole. Domani vedrò di fare qualche particolare in più, giusto per mettere in mostra quanti libri, fumetti e CD fighi ho :P

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