MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


31.8.06

No, ora

Crimsoniani o no, vi sparate questo video, del periodo Discipline. Belew vestito da cane di lusso e Fripp coi capelli corti, senza barba e che sorride. E' un fake, per forza.

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Well, I'm Back

Ok, mi arrendo, scrivo. Non è che qualcuno mi obblighi, eh, nessuno di fisico almeno, in carne ed ossa. Però c'è quella vocina - chiamatela "schizofrenia", ma io trovo più rassicurante spacciarmela per "coscienza" - che mi dice che, insomma, sono stato via venti giorni senza far saper niente e due paroline sul viaggio, sulla Francia, sul ritorno alla normalità, sulla politica internazionale, sull'impressionante accelerazione dei processi di de-urbanizzazione della transumanza, beh, dovrei scriverle.
E invece no, perché c'è troppo da dire e la sbatta scarseggia. Dopo tutto la vocina - sempre la stessa - mi ha garantito che "moralmente" mi posso considerare in vacanza fino al primo settembre, escluso. E allora via di pippone paranoico, ma frego tutti (ma tutti chi?*) perché è nato durante il viaggio di ritorno, sul treno tra Milano e Bergamo. Quindi in un certo qual modo del viaggio ne parlo.

Da questo momento tutti i lettori in fase universitaria più o meno avanzata andranno avanti a leggere a loro rischio e pericolo. C'è un'elevata possibilità di contagio della paranoia.
Fino al liceo, di scelte tutto sommato se ne fanno poche. Di scelte grosse, intendo, di quelle che ti condizioneranno tutta la vita a seguire. Se si fanno, si fanno inconsapevolmente, ci si ritrova dentro: la scuola, gli amici, le passioni, sono cose che capitano, entusiasmano e segnano senza che ci si renda conto della "strada" che inevitabilmente finiscono per segnare. Ricordo ancora quell'inebriante sensazione di libertà, quasi di onnipotenza, del periodo degli esami di maturità e dell'estate immediatamente successiva. Basta obblighi, la vita è tua e puoi farne quel che vuoi. Adulto, con quella piacevole illusione di indipendenza che si traduce nell'andare in vacanza per i fatti tuoi, sì, ma coi soldi dei tuoi genitori, l'università è un mondo nuovo e tutto da scoprire, ma c'è tempo, inizia a ottobre e per intanto si può tranquillamente non pensarci.
Poi l'estate finisce, ti trovi catapultato in un universo fatto di novità che sono permutazioni di cose vecchie, ma chi se ne accorge, finalmente è la tua strada, quella che ti sei scelto tu, e sei libero di percorrerla o di mandarla a quel paese. O almeno è quello che credi, fatto fesso dal semplice fatto di poter saltar le lezioni e dare gli esami al secondo appello (o, per chi ha meno restrizioni di me, non darli proprio). Sì, alla fine della fiera non è che sia tutto rose e fiori, dare gli esami è un gran pacco, non avere più la vita pre-compilata dalle maglie strette di verifiche, interrogazioni, impegni vari, corsi, riunioni, sarà anche la prova della libertà conseguita ma porta con se sbattimenti considerevoli. Ne vale la pena però, no?
E passati due anni ti trovi ancora una volta a guardati indietro, a notare che tutto è cambiato ma per modo di dire, in realtà si è fatto solo più complicato andare avanti, perché se prima la vita era una strada bella larga, con tanto di guard-rail che ti impedivano di uscirne fuori in caso di sbandate, ora è più che altro un sentierino mezzo nascosto, e bisogna continuamente fermarsi a ricontrollare la carta. Passati due anni, una volta guardatoti indietro e autocommiseratoti a dovere, fiero dei tuoi paragoni da poeta della Manuzio (chi ha orecchie per intendere...), ti capita di guardarti anche attorno, a lato, magari pure davanti, che dopotutto è avanti che dovresti andare, no? E allora ecco che, mettendo assieme i pezzi, osservando un po' meglio quel "sentierino mezzo nascosto" che ti stai lasciando alle spalle ti rendi conto di come stanno davvero le cose: quella che stai creandoti tanto alacremente e diligentemente è una bella, capiente e conforevole gabbia. Capiente e confortevole per ora, ma a ogni passo che fai si fa più stretta, con ogni esame che scegli, con ogni esperienza che fai, con ogni persona che conosci il tuo futuro si fa sempre meno abbozzato e drammaticamente più vicino a una statuetta ben levigata, pronta per essere venduta sulle bancarelle. No no, non me ne frega nulla nulla di quest'ultimo punto, non mi ci presterò, piuttosto butto nel cesso la mia (futura) laurea in matematica ma a occuparmi degli algoritmi di ottimizzazione dei sarcazzi della ditta di turno, quale che sia, non ci vado. E' che non c'è solo questo, non c'è solo il "sistema bastardo multinazionale del terrore che ti ingabbia ti vende, McDonalds la Microsoft e ora anche Google ci ha traditi".
Ho scelto di studiare matematica per fregarmene di quello che avrei fatto dopo ancora per un po', una decisione per rimandarne un'altra insomma. Ma, se non la prendi tu, la decisione la prende il tempo al posto tuo. E non solo sul lavoro, ma sul chi essere in generale, sul cosa sapere, sulla gente che si frequenta e su quello che piace fare. Eccoti quindi di fronte a un bivio che è un'inculata paurosa in qualsiasi caso: o ti costruisci la gabbia di tua spontanea volontà, scegliendoti la qualità delle sbarre (che saranno comunque tanto più fitte quanto meno saranno resistenti), l'ubicazione della ciotola del cibo e il colore della ruota per criceti, o lasci che si faccia da sola, liberandoti dalle preoccupazioni momentanee per poi presentarti il conto a casa, con acclusa lettera prestampata di congratulazioni e minacce di ripercussioni legali in caso di mancato pagamento celate dietro eufemismi e giri di parole. Nel primo caso, hai sprecato un po' della tua "libertà" per costruirti una gabbia da cui comunque non puoi scappare e che ti verrà lo stesso a noia, forse anche prima perché manco c'è la sorpresa di scoprire com'è fatta. Nel secondo, dopo aver perso tempo senza concludere nulla, ti ritrovi rinchiuso nella più standardizzata delle gabbiette per criceti o pappagallini, con la gente fuori che guarda e ti da da mangiare in cambio di un giro sulla ruotina o un paio di cinguettii.
Ovviamente si tratta di prendere una decisione, almeno per sapere di che morte morire. Altrettanto ovviamente, non so che pesci pigliare, propendo per la prima ma mi rendo conto di essere ben avviato sulla seconda. Cambiare strada comporterebbe ulteriori sbattimenti, ma si sa mai che sia l'occasione per infilare qualche falla nell'allegra trappola per topi.
Ancora una volta chiudo con una canzone, che forse non calza troppo ma, durante questo viaggio, nei momenti in cui mi son trovato solo a riflettere, mi è spesso tornata in mente:

Francesco Guccini: Due Anni Dopo

Visioni e frasi spezzettate si affacciano di nuovo alla mia mente,
l'inverno e il freddo le han portate, o son cattivi sogni solamente.

Mattino verrà e ti porterà
le silouhettes consuete di parvenze;
poi ti sveglierai e ricercherai
di desideri fragili esistenze...

Lo specchio vede un viso noto, ma hai sempre quella solita paura
che un giorno ti rifletta il vuoto oppure che svanisca la figura.

E ancora non sai se vero tu sei
o immagine da specchi raddoppiata;
nei giorni che avrai però cercherai
l'immagine dai sogni seminata...

L'inverno ha steso le sue mani e nelle strade sfugge ciò che sento.
Son trine bianche e neri rami che cambiano contorno ogni momento.

E ancora non sai come potrai
trovare lungo i muri un' esperienza;
sapere vorrai, ma ti troverai
due anni dopo al punto di partenza...

E senti ancora quelle voci di mezzi amori e mezze vite accanto;
non sai però se sono vere o sono dentro all' anima soltanto;

nei sogni che hai, sai che canterai
di fiori che galleggiano sull'acqua.
Nei giorni che avrai ti ritroverai
due anni dopo sempre quella faccia...


E' l'una, non ho sonno e ci mancherebbe pure. I rumoricchi glitchosi dei Growing (primo ascolto ora) sono una valida colonna sonora per il consueto silenzio (ossimoro) interrotto solo dal battere dei tasti. Buonanotte, ma non sto andando a letto.

* Queste locuzioni, che mi piacciono tanto, sono un po' l'equivalente dei "dieci lettori" (mi ricorderò bene il numero?) di Manzoni, solo che per lui erano di più e quindi era un ipocrita, per me no e quindi se sono ipocrita è comunque per altri motivi.

7.8.06

Nuova ossessione

No, i Subsonica non c'entrano nulla. Magari c'entrassero. Peggio, peggio. La mia droga musicale del momento si chiama screamo ed è la classica cosa che mai mi sarei immaginato di trovarmi ad ascoltare. Io che l'hardcore (punk) lo odio mi sono lentamente e inconsapevolmente invischiato in questa sua degenerazione: un gruppo qui, uno lì, pensavo fossero gruppi atipici e invece scopro che c'è tutto un genere caratterizzato da idee simili. Cantato in scream, spesso alternato a voce pulita, batteria frenetica ma abbastanza complessa da non risultarmi insopportabile come nel resto dell'hardcore, brani di media o lunga durata formati da diverse sezioni, chitarre epiche, frequenti accenni post-rock (tra Louisville, Pittsburgh e Montreal, a seconda dei gruppi), melodismo molto pronunciato, basso in risalto e continui cambi di ritmo. Sembra fatto apposta per me, e infatti lo sto adorando. Leggo in giro che nasce da quella merda che chiamano emo, ma di elementi in comune non ne vedo tantissimi, se non nella "disperazione" esasperata e nello stile del cantato pulito. Vabbé, mi avevano spacciato per emo pure gli At the Drive-in, non dovrei più stupirmi.
Insomma, che posso farci, ora vado in vacanza 20 giorni e spero che nel frattempo mi passi.

Vabbé, sparo un po' di nomi, tanto per. E pure qualche commento, anche se non è che sia l'"espertone", quindi 90% parlerò a vanvera.
Saetia: dalla regia mi dicono che siano gli inizatori di tutto quanto. Non so se è così e me ne frega poco, ma ascoltandoli la sensazione di aver finalmente trovato il "tassello mancante" è forte. In giro si trova solo la compilation "A Retrospective", che include il primo e unico album, pezzi live assortiti e forse anche altro. La produzione è pessima ma il disco è una bomba: tesissimo, viscerale ma al contempo lucido e studiato. Non si ha la sensazione di "violenza trattenuta" che rende grandi gruppi tipo gli Shellac, e in effetti il risultato è meno efferato e psicotico, più trascinante e a modo suo melodico. Tanti passaggi mi ricordano i June of 44, a partire dal 5/4 di Woodwell. La cosa buffa è che il batterista era inizialmente negli Interpol, prima che firmassero il contratto, eppure di somiglianze non se ne vedono proprio.
Orchid: ho un album solo, "Dance Tonight, Revolution Tomorrow" e, a occhio e croce, la cosa migliore è il titolo. Se non altro è brevissimo: 10 canzoni di cui molte lunghe meno di un minuto. Sembra che anche questi siano tra i pionieri del genere, ma la loro musica è decisamente troppo hardcore per i miei gusti. In realtà malissimo non è, dove diventa iper-caotica è pure divertente, ma nulla di stupefacente paragonata ai The Mass per esempio. Il brano conclusivo, "And the Cat Turned to Smoke", dura 5 minuti e ricorda un po' gli Isis, è l'episodio migliore del disco.
Hot Cross: come molti altri gruppi della scena, gli Hot Cross sono formati da componenti dei Saetia riunitisi dopo lo scioglimento del gruppo. Questi sono proprio fighi. Più epici e stratificati dei Saetia, volendo pure un po' tamarri nei riff e caratterizzati dall'alternanza di scream e pulito. Qua e là si infiltra un po' di indie rock o college rock della peggior specie, ma il risultato è sempre bello ed emozionante. Le chitarre sono piuttosto pulite, la componente post-rock praticamente assente anche se i cambi di ritmo sono molto frequenti. Esaltantissimi.
Off Minor: altro gruppo derivato dai Saetia, ne rappresenta un po' la versione math, tra Cheval de Frise, Storm and Stress e Dillinger Escape Plan. Freddi e calcolati, intricati e difficili da seguire a causa delle continue e volute interruzioni del "flusso". Tra passaggi delicati e acustici, delirii spazzcore e grida forsennate la schizofrenia è a un passo, a rendere malati e terrificanti gli spezzettati fraseggi jazz della chitarra. E sono solo in tre eh, come facciano a fare tutto sto baccano è un mistero.
Joshua Fit for Battle: molto hardcore, pesanti e metallici ma anche (forse involontariamente) protesi verso il post-sludge di Neurosis, Isis e compagnia bella. Brani corti e martellanti, dominati dalla tonalità minore e dalle dissonanze, particolarmente disperati e catartici. Meno complessi di altri a livello di strutture e tecnicismi, ma nonostante la brevità i pezzi sono caratterizzati dall'alternanza di più sezioni. Meritano decisamente anche loro.
The Blood Brothers: probabilmente questi non rientrano troppo nella scena ma li cito lo stesso perché tutto sommato sono un gruppo che viene dall'hardcore, hanno il cantato in scream, amano i tecnicismi, gli incastri azzardati e i cambi di tempo e, in più, li ho scoperti assieme agli altri. La vena epico-esistenziale è del tutto assente, prevale l'eclettismo e l'atteggiamento schizoide. A livello di sound sono più leggeri degli altri gruppi citati, più puliti, "indie" e con vari inserti elettronici usati più che altro per creare suonicchi di "disturbo". La musica mescola la loro matrice hardcore con gli stili più disperati, dallo ska alla musica da night club. Folli.
The Fall of Troy: questo è uno dei quei gruppi che se non lo vedi non ci credi. Impossibile che tre ventunenni (chitarra-voce, basso e batteria) riescano a fare musica del genere. La si potrebbe descrivere come gli ultimi At the Drive-In in salsa screamo mischiati con Rush, Yes e Van Halen. Esibizionismo a non finire, specie nell'ultimo "Doppelganger". C'è molto ancora da limare, tra un cambio di tempo e l'altro ogni tanto ci scappa qualche tema pop-punk alla Blink 182 che fa decisamente cadere le palle, ma si direbbe proprio che da questi ci si possa aspettare un capolavoro. Incasinatissimi, all'inizio entrano massimo un paio di brani, poi pian piano iniziano a "prendere" pure gli altri, la loro è una sperimentazione abbastanza "di facciata", tutto sommato sembrano un po' i Dream Theater dell'hardcore, ma la classe è davvero sorprendente. L'EP "Gostship Demos" è meno levigato e orecchiabile, più sferragliante, ma è comunque da sentire.
City of Caterpillar: band chiave per le recenti evoluzione del genere, i City of Caterpillar sposano il sound e la visceralità dei Saetia con le strutture e le atmosfere del post-rock emotivo, principalmente Mogwai ed Explosions in the Sky. L'unico album pubblicato è un disco ricco di momenti da brivido come di episodi esaltanti e iper-dinamici. La produzione purtroppo non è un granché, in particolare il missaggio penalizza un po' le parti vocali. Brani lunghi (circa una decina di minuti) si alternano a pezzi più brevi, ma in tutti la carica emotiva è devastante, anche se non tutti i momenti trascinano allo stesso modo.
A Day in Black and White: sulla scia dei City of Caterpillar esce nel 2004 "My Heroes Have Always Killed Cowboys" degli A Day in Black and White, più legati alla forma-canzone ma ugualmente epici e debitori all'estetica del "crescendo". Anche qui la produzione è scadente, con i tamburi troppo in risalto, ma il coinvolgimento emotivo è abbastanza forte da far passare queste pecche in secondo piano.
Circle Takes the Square: il capolavoro di questo "nuovo corso" è per me "As the Roots Undo" dei Circle Takes the Square, album inizialmente parecchio ostico a causa dei continui cambi di tema e intensità. L'ibrido post-rock/screamo dei City of Caterpillar assume le tinte folk "corale" dei Godspeed You Black Emperor! e quel che ne esce è un album stupendo e emozionantissimo, capace di condurti nel giro di due minuti dalla disperazione all'estasi, coi suoi crescendo, ostinato e i suoi ritornelli ora fischiettati, ora gridati con tutti i polmoni, ora sussurrati con un filo di voce.

Sono tanti i nomi legati alla scena che ancora devo ascoltare: Pg. 99, Mikoto, Envy (di cui ho ascolticchiato l'ultimo, che però non mi ha sbalordito), Welcome the Plague Year, Majority Rule, Ampere Thursday, gli italiani La Quiete, vari gruppi francesi, oltre a outsider come Idiot Pilot, Joan of Arc, Eden Maine e numerosi gruppi citati come precursori o importanti influenze: Portraits of the Past, Maximillian Colby, Current... Direi che per un po' ce ne ho.

4.8.06

Fabrizio De André: Un Chimico

Ci sono canzoni che, al di là di qualsiasi considerazione estetica o formale, mi rappresentano tanto da farmi sospettare di avermi segretamente plasmato. Da tanto non risentivo "Non al denaro, non all'amore, né al cielo" di De André, che è invece stato uno dei dischi più importanti per me negli anni del liceo. A qualche anno di distanza, dopo tanta acqua passata sotto ponti che si stanno rivelando sempre più inamovibili, quasi che le loro fondamenta affondassero e si estendessero in profondità giorno dopo giorno, risentire questa canzone, cantarla di nuovo, mi ha fatto molto male. Ferito nel profondo. Diavolo, questa canzone parla di me, sostituire "chimica" con "matematica" ed è il mio ritratto. E sembra così definitivo, così impossibile da cambiare. Devo forse arrendermici? Il pensiero mi provoca un brivido e un accenno di lacrime agli occhi. Questa canzone piace a tante persone, tutti si affannano a ribadire che è un capolavoro, ma vorrei vedere cosa ne penserebbero se questa canzone fosse la loro vita, se quel "cosa c'è di diverso nel vostro morire?" gli rimbombasse in testa ogni giorno, sotto questa o altre formulazioni, come una domanda per cui perdere il senno, con la costante sensazione dell'impossibilità, anche in futuro, di dargli una risposta.


Solo la morte m’ha portato in collina
un corpo fra i tanti a dar fosforo all’aria
per bivacchi di fuochi che dicono fatui
che non lasciano cenere, non sciolgon la brina.
Solo la morte m’ha portato in collina.

Da chimico un giorno avevo il potere
di sposar gli elementi e farli reagire,
ma gli uomini mai mi riuscì di capire
perché si combinassero attraverso l’amore.
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore.

Guardate il sorriso guardate il colore
come giocan sul viso di chi cerca l’amore:
ma lo stesso sorriso lo stesso colore
dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore.
Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore.

Che strano andarsene senza soffrire,
senza un volto di donna da dover ricordare.
Ma è forse diverso il vostro morire
voi che uscite all’amore che cedete all’aprile.
Cosa c’è di diverso nel vostro morire.

Primavera non bussa lei entra sicura
come il fumo lei penetra in ogni fessura
ha le labbra di carne i capelli di grano
che paura, che voglia che ti prenda per mano.
Che paura, che voglia che ti porti lontano.

Ma guardate l’idrogeno tacere nel mare
guardate l’ossigeno al suo fianco dormire:
soltanto una legge che io riesco a capire
ha potuto sposarli senza farli scoppiare.
Soltanto una legge che io riesco a capire.

Fui chimico e, no, non mi volli sposare.
Non sapevo con chi e chi avrei generato:
son morto in un esperimento sbagliato
proprio come gli idioti che muoion d’amore.
E qualcuno dirà che c’è un modo migliore.