MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


12.2.07

Ascolti

Dai, faccio la pleilista. Solo da inizio mese che se devo metterci anche tutta la roba dei mesi scorsi non finisco più. Ripesco giusto qualche disco per completare alcune "aree tematiche".

Emocore
La notizia è la seguente: a furia di sbeffeggiare gli emo di qua e di là, è finito per piacere pure a me. E in maniera decisamente preoccupante.
E' opportuno comunque, fare qualche distinguo. Il primo emocore, quello dei Rites of Spring e degli Embrace (ma questi non li ho sentiti), mi fa schifo pesantemente. Niente di nuovo sotto il sole d'altra parte, è hardcore con tutti i crismi dell'hardcore: batteria di latta tum-pa tum-pa, piglio punk, riff grezzi e quant'altro. Una singola canzone mi piace da matti: "All there is". Il resto lo trovo proprio irritante.
Specularmente, il recente "emo" del tutto privato del "core" tende a infastidirmi pure lui. Qui tracciare linee di confine è più difficile, ma in ogni caso i vari gruppi approdati su MTV o a un passo dal farlo non mi incuriosiscono (ho sentito solo i singoli su yotube), che siano i My Chemical Romance, i Dashboard Confessional, i Thursday (questi ultimi davvero terribili) o chi per loro. Ributtante anche il "metalcore", almeno a giudicare da youtube. Qui proprio non riesco nemmeno a cogliere l'elemento hardcore: mi pare death metal melodico di bassissima lega e mi fa schifo per gli stessi motivi per cui non amo gran parte del metal.
Cosa resta? In primis, rimangono i mai troppo celebrati At the Drive In e gli stuoli di imitatori più o meno "progressivi". Imitatori che vanno passati attentamente al setaccio, ai partire dagli stessi Mars Volta, autori di un primo album eccezionale e di due dischi inconcludenti, sbrodolato fino allo spasmo l'uno e privo di mordente l'altro. Spacciati come emo-prog si trovano pure i Coheed and Cambria, in realtà dediti a una sorta di pomp-rock che più che dal progressive e dagli ATDI sembra prendere (e male) da Led Zeppelin e Dream Theater. Facendosi strada un po' a fatica di gruppi interessanti comunque se ne trovano: sotto ne cito un paio.
Last but not least, il fatidico (per me) screamo: dopo aver adorato Saetia, Hot Cross, Off Minor, City of Caterpillar e Circle Takes the Square, mi sono ributtato in questa corrente estrema e post-rockeggiante, questa volta alla scoperta di alcuni dei progenitori. Con alcune scoperte decisamente sorprendenti.

Sunny Day Real Estate: Diary (1994) 8
Sunny Day Real Estate: How it feels to be something on (1998) 7,5
Il primo disco dei Sunny Day Real Estate è una delle cose più oneste e sentite che abbia mai ascoltato. Non vuol dire che sia un disco rozzo o fatto senza testa: la voce è molto studiata, anche un po' falsa e distante nel suo voler ricercare il più possibile il connubio tra impeto, introversione e melodia. Fatto sta che al ritornello dell'iniziale "Seven" mi è del tutto impossibile resistere, e da lì il disco mi trascina nel suo turbine emotivo, inanellando nel frattempo giri di basso e arpeggi che scavano un segno profondo.
A quattro anni di distanza esce il terzo album: non so cosa sia accaduto nel frattempo, ma di certo di acqua sotto i ponti ne è passata. Via tutta la ruvidezza e la splendida ingenuità dell'esordio, via ogni irruenza "core" e dentro complesse architetture progressìve à la "Ok Computer". Qua il gioco è tutto sui chiaroscuri, sulla tensione che cresce a poco a poco e viene sprigionata mantenendo ben saldo il controllo sul freno. Il distacco della voce qua è ancora più netto, e gli si aggiunge l'eleganza pianificata delle parti strumentali, e se il primo impatto è meno diretto nel giro di pochi ascolti il disco si rivela denso, coinvolgente e ricchissimo di sfumature.

The Get Up Kids: Four Minute Mile (1997) 7

The Sound of Animals Fighting: Tiger and the Duke (2005) 7,5
The Sound of Animals Fighting: Lover, the Lord has left us... (2006) 7
"Supergruppo" formato da componenti di svariate emo-band di bassa lega, i Sound of Animals Fighting sono tutto meno che la somma delle loro parti. Il primo disco suona come avrebbe dovuto suonare un degno seguito di "De-Loused in the Comatorium", con un bel po' di frenesia post-hardcore a rimpiazzare le porcherie latineggianti e le infatuazioni zeppeliniane degli ultimi Mars Volta. La carne al fuoco è tantissima, forse troppa: per intanto l'impressione è ottima, col tempo vedrò di capire se tutti gli elementi in gioco sono davvero necessari. Esaltante, comunque, il disco lo è di certo.
Il secondo disco è difficilmente paragonabile a qualcosa di già sentito. Saranno le maschere da animale che indossano i concerti, ma si direbbe proprio che i Sound of Animals Fighting abbiano deciso di trasformarsi nei Residents del post-hardcore. O nei Massive Attack, nei Kukl, nei This Heat o va' a saper che altro. Si può dire che le carte in tavola cambiano tutte, tranne le due componenti principali: caos e melodia. In un labirinto di campionamenti, vocalizzi arabeggianti, convulsioni elettroniche e ronzii chitarristici, i pezzi perdono qualsiasi forma di linearità e si trasformano in luoghi sonori, pozze da cui affiorano ora una melodia lontana, ora un violino folk, ora i gorgheggi di una radiotrasmittente in avaria. Che dire... un guazzabuglio come non ne sentivo da tempo. Già questo, e l'innegabile piacevolezza dell'insieme, basta a mantenere il loop su quest'album.

Coheed and Cambria: The Second Stage Turbine Blade (2002) 5
E son stato buono giusto perché, alla fin fine, sono riuscito ad arrivare alla fine. Scaruffi da' a questa ciofeca più di "Relationship of Command". E' un peccato che là in california i roghi non siano più di moda.

Still Life: From Angry Heads with Skyward Eyes (1993) 7
Disco anche bello, un po' troppo lagnosa la voce, sì, ma il vero problema è che la qualità del suono è infima. Gli strumenti son tutti mischiati in una fanghiglia piena di boati e rimbombi. No, non è una cosa molto avant, assicuro. Poi i pezzi ci sono eh, e il sound pure fatte salve registrazione e missaggio: cantato lamentoso e funereo, chitarra bassa, lenta e pesante, drumming monolitico e basso sparato sugli acuti. Si direbbe proprio di essere in presenza dei Joy Division dell'emocore, ma certi arpeggi e le dinamiche fanno pensare più che altro ai Mogwai. Certo, poi un pezzo solare e malinconico come "Sunrise Sunset" ha un effetto del tutto spiazzante, come uno sprazzo di sole che allontana per un attimo le nuvole. Se solo fosse registrato decentemente...

Indian Summer: Science 1994 (compilation, 1994) 8,5
Ok, adesso non ci sono più scuse e mezzi termini: questa raccolta è un capolavoro fatto e finito, la musica contenuta è fondamentale per il rock successivo, la scarsa notorietà di questa band ha qualcosa di criminale. Non credo che molti siano in grado di immaginare un incrocio tra Slint e At the Drive-In: ecco, non fatelo, scaricate il disco e sentite.
"I Think Your Train is Leaving" si apre col gracchiare di un vecchio vinile di blues femminile, espediente che fa da legante tra tutte le canzoni e conferisce alla raccolta un fascino "in bianco e nero" e un distinto senso di coesione. Subito attaccano le chitarre e sembra di trovarsi al cospetto del fratello gemello di "Spiderland": riff sbilenchi, svuotati, accelerazioni e pause improvvise. E dopo una tesissima sequenza di stop'n'go ecco la prima "esplosione" del disco e forse il primo accenno di post rock "emotivo" assieme a qualche arpeggio qua e là dei Bark Psychosis. Ben più di qualche accenno si trova invece nella strepitosa "Angry Son", che per inciso deve esser piaciuta tanto agli At The Drive-In, visto che "198d" è praticamente la copia a carta carbone. Qua le dinamiche, le atmosfere e il suono sono tali e quali a quelle che saranno dei Mogwai. E sebbene l'ipotesi appaia remota, non escluderei che anche la via dei Godspeed You Black Emperor! sia passata di qua, essendo i canadesi stati a lungo interessati alla scena hardcore. Di certo in ogni caso c'è che i Saetia sarebbero stati impensabili senza questo gruppo, e assieme a loro tutto quanto di buono abbia prodotto lo "screamo" che ne sarebbe derivato. Imprescindibile.

Native Nod: Today Puberty, Tomorrow the World (compilation, 1996) 7,5
I Native Nod sono un po' la versione "indie" dell'emocore. O forse il gruppo che più si avicina al post-hardcore tout court. Vortici dissonanti alla Sonic Youth, chitarre ritorte, ritmi spigliati ma "incastrati", un po' alla Quicksand volendo, e c'è pure qualcosa dei Neurosis. Più che qualcosa. S', è brutto mettersi a fare il giochino dei paragoni, ma il suono di questa band si presta bene a questo genere di "caccia al tesoro". Quello che va specificato è che a dispetto dei mille rimandi, si tratta di un sound assolutamente coeso e personale, e i pezzi sono ottimi, alcuni davvero eccezionali, col sax di "Mr. President" a dare l'ennesima nota di colore a una raccolta davvero meritevole.

Blink-182: Enema of the State (1999) 8
Non guardatemi così, che questo disco lo odio da quando è uscito. Questi cavolo di singoli erano ovunque e al tempo se una cosa piaceva a tutti a me doveva fare ribrezzo. Non sono cambiato di molto, e ora che tutti sputano nel piatto in cui hanno mangiato io mi scopro ad amare non solo "Adam's Song" (che, si può dire quel che si vuole, ma è un gran pezzo) ma ogni singola traccia di un album che non ha tracce deboli. Avendo accettato come "forti" i singoli, ovviamente - certo che se non convince "All the Small Things" probabilmente tutto il disco suonerà come la stessa merda. "Zen Arcade" è, secondo la pietra miliare, il disco definitivo sull'adolescenza. Non sulla mia, e a dire il vero neppure "Enema of the State" lo è, ma ci sento molto di più le sensazioni dell'adolescente. Il solito disco da teenager? Sì, e che me ne frega. Il solito disco di finto hardcore? Sì, e a me l'hardcore "vero" fa cagare. Mentre "Enema of the State" mi piace da matti.

Altre prelibatezze:

A Minor Forest: Flemish Altruism (1993-1996) (1996) 7,5
Colossamite: Economy of Motion (1998) 7
Ruins: Stonehenge (1989) 8
Happy Family: omonimo (1995) 7

Tipographica: God Says I Can't Dance (1996) 7,5
I giapponesi hanno qualcosa di strano nella testa e questo si sa. In ogni caso questo disco (ma anche i due citati subito sopra) ne è l'ulteriore riprova. Disco ritmicamente imbordellatissimo, pieno di melodie anche molto dirette ma frastagliate a dismisura, continuamente spezzate da beat sbilenchi, spigoli e incastri di varia natura. Disco molto piacevole, solo per progressivomani però, perché il sound non ha paura di risultare incoeso o di fare affidamento sui vari hammond e synth, anche se un certo atteggiamento zappiano è forse uno degli elementi più evidenti del disco. Credo che col tempo crescerà, è uno di quegli album che han bisogno di parecchi ascolti per essere assimilati.

Island: Pictures (1977) 7,5
L'album più estremo del progressive melodico viene dalla svizzera e si presenta con un'evocativa copertina del connazionale Hans Ruedi Giger. Disco freddissimo, praticamente senza anima, "Pictures" porta la passione del genere per gli incastri e i tempi dispari alle estreme conseguenze, avvicinandosi più a tanto avant-prog che al progressive da cui prende le mosse: Genesis, VDGG, ELP e soprattutto Gentle Giant, anche se credo che un'ascoltatina al primo disco degli Henry Cow se la siano data per forza. I brani, la cui parte vocale è purtroppo poco incisiva in genere, sono quanto di più ritmicamente imbordellato si possa concepire cercando di conservare il melodismo e la "sinfonicità" dell'insieme. Niente chitarra, vari fiati e parecchio hammond per un lavoro fatto essenzialmente di cervello e atmosfere, che arriva in più episodi ad anticipare alcune architetture e frasi ricorrenti tipiche del math e può collocarsi assieme a "Lark's Tongues in Aspic" tra i precursori occulti del genere.

Circus: Movin' On (1977) 8,5
Ancora progressive svizzero, ma dallo stile completamente diverso dal precedente. Questa volta si tratta di un capolavoro bello e buono, una delle vette del genere senza il minimo dubbio. Un disco davvero solare, senza ombre di sorta, con le sue schitarrate acustiche a reggere l'andatura jazzata dei pezzi. I cinque accordi dell'iniziale "The Bandsman" già si piazzano tra i giri memorabili del rock. Il cantato si rifà spudoratamente a Peter Hammill ma è incredibile come il suo stile tenebroso e spirituale venga stravolto in chiave spensierata senza minimamente perdere di efficacia. L'organico strumentale è ricco e si appoggia spesso sui fiati per ricami delicati e perfettamente a fuoco, mai invasivi e di gran gusto. La title-track è una suite di 22 minuti che passano in un battibaleno. Chiunque non disdegni il progressive dovrebbe sentire questo disco.

Rush: Hemispheres
(1978) 7,5
Take That: Beautiful World (2006) 5,5
Iannis Xenakis: La Legende d'Eer (1995) 6,5

Bola Sete: Live at the Montrey Jazz Festival (1966) 8
Ok, questo disco è stupendo, che altro devo sentire?

Blowzabella: A Richer Dust (1988) 7,5
Ai Blowzabella manca (mancava) pochissimo per realizzare il capolavoro definitivo del folk celtico. Il loro sound è travolgente, e si basa sui muri di suono creati dalle due ghironde, dai due sax, dalle cornamuse e dal basso elettrico. La suite che occupa la prima facciata è qualcosa di emotivamente intensissimo, strutturalmente non così lontano dal soft/loud di marca Godspeed You Black Emperor!, anche se si tratta di musica tradizionale suonata come tale, senza nessun intellettualismo e senza nessun occhio rivolto al mondo rock. La seconda facciata contiene brani cantati, ma non tutti gli episodi sono ugualmente validi. In ogni caso si tratta di un ottimo disco da parte di una band eccezionale e sorprendente.

No comments: