MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


21.2.07

Take Five

La venerazione dei tempi composti è qualcosa che al non-proggomane medio suona assolutamente incomprensibile. L'unico genere di spiegazione che sa darsi è che il proggarolo è costituzionalmente nerd, che va in visibilio per il tecnicismo fine a sé stesso, che non sa godere dell'aspetto fisico della musica, gloriosamente rappresentato dal 4/4. E invece no. O magari sì, ma il motivo non è quello.
In un pezzo musicale, ritmo e melodia sono in genere due elementi fondamentali. E' ovvio che tengano conto l'uno dell'altro e che l'alchimia del pezzo debba molto ai loro bilanciamenti o sbilanciamenti. Quando si ha a che fare con un tempo composto, magari uno di quei metri irregolari aksak che continuano a cambiare, i due elementi si intrecciano al punto tale che è praticamente impossibile distinguerli. La melodia diventa il ritmo e il ritmo diventa la melodia. Quelle sulla perdita di fisicità sono balle colossali, perché un tempo irregolare è qualcosa che entra dentro, prende in maniera viscerale e si impossessa di ogni energia corporea e mentale disponibile. Tenere il tempo, muoversi, tamburellare diventa una necessità fisiologica. Non è che gli abitanti dell'Est europeo siano degli idioti e si siano trastullati per secoli con temi tradizionali impossibili da ballare e assimilare, riservati a pochi e noiosi eletti che abbiano del tempo da sprecare stando seduti in poltrona ad ascoltare ghirigori virtuosistici senza capo né coda. E' che lo sviluppo ritmico, che è stato l'elemento fondante delle tradizioni musicali di mezzo mondo, nella rimanente metà (in cui noi siamo inclusi) è stato sacrificato in funzione di quello armonico. Non è un bene e non è un male, ed è un pezzo che la musica occidentale si da' da fare per rifarsi, magari rinunciando a qualche costrutto armonico per scoprire un po' del "groove" della musica afro-americana. Non è questa però l'unica strada possibile, anche se senza dubbio è la più battuta: proprio perché ancora adesso ci suonano così "strani", i tempi composti guadagnano da noi il doppio della valenza che hanno dove sono di comune impiego, aggiungendo alla loro naturale vivacità un elemento di sorpresa e straniamento (che, una volta fattaci l'abitudine, si fa sempre meno presente). La musica in tempi composti non avrà groove e nemmeno swing, non sarà ossessiva come un four to the floor, ma se è stata ballata da intere nazioni per secoli qualche motivo ci sarà.

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