MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


21.5.06

Subroutines

Disclaimer: questo è un post-sbatta. Avevo intenzione di scrivere qualcosa del genere da tempo, ma l'altro giorno il nuovo Ratman (ah, leggetelo) mi ha offerto lo spunto giusto. Epifania, illuminazione, o forse semplicemente andare a premere il tasto dolente, a infilare il coltello nella piaga. Come vi pare, ma non potevo tirarmi indietro. Sarà un parto difficile e probabilmente anche un po' doloroso, e le pare contenute potrebbero facilmente riversarsi anche sul lettore. Chiedo scusa. Anche per il fatto che l'immagine qua sotto è tagliata da cani.

Sono stato, ieri, a una festa per tre compleanni: ventun anni, tutti e tre. Non fosse che nel giro di due mesi la stessa occorrenza capiterà anche a me, questo post potrebbe finire qui.
Ventun anni. "Ah, ventun anni, la giovinezza, la vita spensierata, le cazzate con gli amici..." Sti stracazzi. Ventun anni sono tanti. Venti, più quell'"uno" in più a ricordarti che è proprio vero che non sei più un teenager, che il tempo passa anche dopo la fatidica soglia, che passa anche se non sembra cambiare nulla, e se non lo sai sfruttare sono solo cazzi tuoi.
"Spesso viviamo le nostre storie aspettando solo il colpo di scena". Quanto cavolo è vero? Come poi se non sapessi per esperienza che le novità non piovono dal celo, ma te le devi sognare, studiare, coltivare, cullare, dedicarci anima e corpo per mesi, anni o magari solo cinque minuti. Mica arrivano, se passi il tempo ad attenderle passivamente, facendo intanto le solite cose che fai sempre, se vivi la tua vita da osservatore esterno.

Eh sì, bella la teoria. La pratica, però, è tutto un altro discorso. Il principio è limpido, cristallino, ma deve fare i conti con quelli che sono i fattori contingenti: gli impegni, le pressioni, la pigrizia, le conoscenze, le routine. Già, le routine che arrivano ad occuparti il 90% della vita, e anche di più. Le routine che ti sei imposto per scelta e con grande convinzione (l'università, gli scout) e quelle che all'inizio sembravano tanto fighe, così "nuove", ma che passato un anno han già rotto le balle, son diventate proiezioni di film già visti e rivisti (il sabato sera, i festoni, incontrare gente nuova e gente che non vedevi da anni) che perdono d'impatto a ogni visione. Le routine in cui finisci cercando di sfuggire dalle altre, in cui presto alla sensazione di liberazione subentrano la noia e l'inazione.
Quando feste e nuove amicizie iniziano a stancare di default, perché comunque siano saranno uguali alle altre, magari mischiando un po' qua e un po' là, c'è qualcosa che non va. Ma mica nelle feste e nelle amicizie. Quando a ventun anni uno ha la sensazione che la vita non possa più stupirlo, riservargli soprese, quando uno crede di aver già visto tutto pur sapendo di non aver visto niente, quando uno sente il peso degli anni che passano così, sovraccaricato dalle novità ma senza nessuna Novità con la "N" maiuscola, altroché se c'è qualcosa che non va. Diciamocelo chiaramente: quando uno a ventun anni crede che ormai i "bei tempi" siano passati, che essere adulti voglia dire non avere più nulla da scoprire, non sentire più quel clima di "sempre di più, sempre più in alto", crede di essere arrivato alla vetta ma nel guardarsi intorno non vede che nebbia, quando uno a ventun anni inizia a pensare sia opportuno passare dal verbo "crescere" al verbo "invecchiare", forse non è solo "qualcosa" che non va.
Ma il guaio più grosso è farci l'abitudine, a tutta questa cosa, trasformare anche questa in "routine", abituarsi a sé stessi, e rendersi d'un botto conto che il tempo passa, e delle tue pare, dei tuoi blocchi non glie ne frega assolutamente nulla. C'è un televisore, su in soggiorno. Prima, ce n'era un altro, un enorme catafalco a valvole. Poi i miei genitori ne han preso uno nuovo, un Sony Trinitron, il futuro, me lo ricordo come se fosse ieri. Il mio primo videoregistratore, che cosa nuova e esaltante. Solo che ora, salendo in soggiorno, al posto del "futuro" vedo solo un vecchio catafalco che funziona e non funziona. Il videoregistratore nuovo e esaltante, l'abbiam buttato quattro anni fa, perché non solo non era più tanto nuovo, ma era proprio obsoleto e ripararlo non conveniva nemmeno. Non ci avevo mai fatto caso, a queste cose. Fino a un annetto fa, quello sul mobile del soggiorno era "il televisore nuovo". Poi di colpo ti accorgi che è vecchio, senti frullare per la testa le parole "diec'anni" e inizi a capire cosa vogliano dire. Ti guardi dietro, e ti accorgi che dieci anni fa sembrano ieri, ma non lo sono affatto. Ti rendi conto di tutto quello che ti è passato attorno, di tutto quello a cui sei passato attraverso, alle volte con l'ardore cieco di chi vede in ogni novità "la Novità", alle volte controvoglia, alle volte senza nemmeno accorgertene, alle volte per ripiego, cercando di evitare tutto quello attraverso cui passavano gli altri, ricavandone solo di esserci passato in maniera meno intensa, dall'esterno, da osservatore. Ti giri verso il passato e scopri che è tale, e non tornerà più, appartiene a un altro tempo, e ti domandi, di tutte le cose che ti son successe, di quante sia stato per davvero il protagonista. E non vuoi darti una risposta, perché la risposta fa paura almeno come la domanda.
Su in soggiorno c'è un televisore nuovo che adesso è vecchio. Se tanto mi da' tanto, sono vecchio anch'io.

No, non bisogna arrendersi, bisogna cambiare. Ma cambiare cosa, che questi ultimi due anni sono stati un cambiamento totale eppure non è cambiato assolutamente niente? Sto in un altro posto, vedo più certa gente che altra, se confronto il "quadro" di oggi con quella di due anni fa non ci trovo che una cosa in comune, un personaggio laterale, vistoso ma poco incisivo: io. Io che, porca eva, sono sempre lo stesso. E' inutile che stia ad aspettare il "wind of change", è inutile stare fermo in attesa di un grande sconvolgimento: non è fuori che deve cambiare, quello è già cambiato tutto, è dentro. Ma cosa vuol dire? Non riesco nemmeno a capirlo. Sono certo cambiato molto in ventun anni, ma mai volontariamente. Lo chiamavo "crescere", era qualcosa che succedeva e io non dovevo preoccuparmi più di tanto. Stavo lì, mi muovevo un po' a caso a seconda degli sghiribizzi del momento e, bona, crescevo. Poi mi sono accorto che la direzione in cui stavo andando non mi piaceva più di tanto, e ho pensato che bastasse cambiare posto per cambiare direzione. Non mi ero reso conto di avere in mano una fottuta bussola, che puoi andare dove ti pare ma tanto punterà sempre dalla stessa parte. Forse dovrei smettere di seguire la bussola, andare fuori rotta, spezzare la quotidianità, ma questo va completamente contro a quello che credo di essere. Non è da me buttarmi a capofitto nelle cose prima di essermi fatto un'idea di cosa sono, non sono il tipo che fa scommesse e men che meno su sé stesso.

[edit: in realtà da questo punto in poi l'argomento diventa un altro. o forse no]

Forse la cosa più semplice da fare è chiedersi: "cosa vorrei?". E allora, tra i mille "non so", tra le tonnellate di rimpianti - e nemmeno un rimorso - nell'oceano dei buoni propositi tipo "leggere di più", "perdere meno tempo", "farmi meno paranoie", "lanciarmi senza paura" etc. salta fuori "suonare". Vorrei suonare. E' qualche anno che ce l'ho come chiodo fisso, anzi a dire il vero fin da bambino pochi momenti son stati così belli come il confrontarsi con sé stessi per "trovare" a orecchio una musica sullo xilofonino a rotelle, sulla pianola, col flauto. Poi sono arrivati il pianoforte, la chitarra, il flauto traverso: teoria e esercizi, tecnica, regole, un percorso stabilito, nessuna libertà, routine. Non me ne fregava niente, e infatti non ho cavato un ragno dal buco. Non è questo, suonare. Non è riprodurre fedelmente le idee e le emozioni degli altri, magari non sentendole neppure proprie. Suonare, come scrivere, ballare, dipingere, probabilmente come amare, è un modo, quello che sento a mé più consono, di condividere il proprio "centimetro di libertà". Non di perderlo, non di rivelarne i segreti, ma di lasciarci buttare un'occhiata dentro, non solo agli altri, ma anche a sé stessi. E' una sfida, con sé stessi, un modo di conoscersi e di superarsi, di creare qualcosa di veramente proprio.
Credo di sapere cosa voglio fare, cosa voglio suonare. E so due cose: che non è musica facile, e che non posso farlo da solo. Alla prima non si rimedia senza risolvere la seconda. E' inutile, da solo non vado da nessuna parte, ho la sensazione - di nuovo - di essere ormai troppo vecchio per acquisire la tecnica e la confidenza necessari, di aver già perso la mia occasione. Voglio però credere che non sia così, e solo lo sprono di un gruppo che crede in quello che vuole, anche se sembra un traguardo irraggiungibile, può aiutarmi a dimostrare il contrario. Da qui la seconda parte del problema: servono altre persone, altre persone abbastanza melomani da capire cosa intendo fare, abbastanza aperte e matte da accettarlo, abbastanza pazienti da aspettare un bel po' prima di avere dei risultati. Non me ne frega che sian dei mostri della tecnica, ho imparato a diffidarne, quel che conta è soprattutto che ci sia intesa, che sia una bestia a più teste, che possa crearsi, in piccolo, quel clima di continue "Novità" con la maiuscola e scoperte e progressi. Eh, ma sta gente dove cavolo la trovo? Di mio, non ne conosco. Un'altra dura realtà con cui mi son ritrovato a scontrare è che di gente con le tue stesse passioni ce n'è poca, pochissima. E che spesso, quando anche c'è una passione in comune, il modo di intenderla è totalmente diverso. Dicevo, questa gente dovrei cercarla. Parto già poco convinto, perché quello che vedo a Pavia, una delle città più morte d'Italia dal punto di vista musicale e non solo, sono tonnellate di inserzioni per formare cover-band dei soliti cavolo di gruppi. Al più qualcuno che vuol mettere su un gruppo metal, un gruppo indie. Mai nessuno, né dei gruppi che vedo in giro, né dei gruppi che traspaiono da questi annunci, sembra voler fare qualcosa d'altro rispetto a quel che si è sempre sentito, nessuno sembra nemmeno sospettare che possa esistere qualcosa d'altro, al di là dei paletti, delle barriere ridicole fra generi, o anche solo al di là delle culture "alternative" solo mezzo centimetro sopra a quella di MTV.
Vabbé. Io ci proverò. Probabilmente non andrò da nessuna parte, ma vale la pena di tentare. In realtà so che, come mi andava piccola Bergamo, mi va piccola anche Pavia, e pure di più. Ho sempre di più la sensazione che la soluzione migliore non sia questa via di mezzo temporale, "un po' qua e un po' là", ma la via di mezzo geografica: la metropoli, Milano. La città grigia e frentica che ho sempre odiato, ma in cui alla fin fine converge sempre tutto quello a cui tengo. Gli studi: a Pavia di quello di cui probabilmente voglio occuparmi (la logica, i Fondamenti, la filosofia della scienza, i legami della matematica con la mente e la linguistica) non glie ne frega niente a nessuno. La musica, le attività culturali, i posti, tutto. Ma so anche che, finché non risolvo il problema alla base, ovvero i miei blocchi, ogni posto sarà uguale: forse uno sarà un po' meno peggio dell'altro, ma ne vivrò comunque una percentuale insignificante rispetto a quanto potrei. Perché non sono solo i posti quelli che contano, ma le cose che si fanno, le persone con cui si fanno e il modo in cui ci si pone rispetto ad esse.

Di cose ce ne sarebbero ancora da dire, ma incomincio a girare in tondo, quindi tanto vale concludere qua e rimandare la prosecuzione a un'altra volta. Non credo che dopo questo post cambierà alcunché, ma sentivo il bisogno di scriverlo. Chiudo qui, con una canzone, una canzone scout che ho sempre amato e mai messo in pratica:

Buona fortuna a te che scruti la notte e sfidi le ombre buie della tua mente
Che provi a sconfiggere le paure, che trovi il coraggio per andare lontano
Arriva il momento che devi provare, provare a te stesso quello che puoi valere

Avere fortuna, sì, è quello che conta ma
E' niente se manca la forza, la voglia di vincere, di dimostrare
Che niente è impossibile se ci vuoi provare
Niente ti è lontano se ci credi, se è quello che vuoi.

Buona fortuna se hai deciso che è giusto
Provare a giocare anche se c'è da rischiare
In fondo la vita è una sola partita
E comunque la giri solo tu puoi giocarla

Esci allo scoperto, dai una mossa al gioco
Scrivi il tuo copione solo per un poco
Vale la pena sai, anche solo poi
Per poter dire che io c'ho provato

Non hai perso certo tutta la partita
Solo qualche punto ma non è finita
Meglio un punto perso se è per dare un senso alla tua vita

Non cercare sempre la luna nel pozzo
E' grande, grande, grande anche un piccolo passo
Sei la carta vincente, sei tu la fortuna della tua vita.

6 comments:

Anonymous said...

prendi in mano la tua vita,prendila per la coda,ma prendila.bisogna trovare il coraggio.c'è tanto da cercare,ovunque.te lo dico perchè è vero,lo sai anche tu.e anche avere paura,barcollare,sedersi ad aspettare,vuol dire vivere*

Mrs Beauregarde said...

Ottimo post. Sei un grande.

LaKappa

lyxor said...

1-mi stavi per fottere, ma la canza scout non l'ho letta.
2-[come disse il froze] le esse-cose ti condizionano la vita.
3-Tranquillo, se le pare tue arrivano fino a qui ne hai ancora di strada da fare...

wago said...

Hm, qualche preview e spoiler per le pare prossime venture?

Gamber said...

Orpo, dovrei farne uno anch'io di questi post sfogo, ma... mah, non lo so, devo trovare, come te, l'"input".

Anonymous said...

> Eh, ma sta gente dove cavolo la
> trovo? Di mio, non ne conosco.

Ma dio salgàro, ma dove vivi? Ok che ci stanno quei 200 km che manco coi rotoloni regina, ma da qui a dire che non ne conosci...

... comunque no, questo è un post di merda.