MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


16.5.06

Ma i fumetti?

Uffa, va a finire che non scrivo mai di fumetti come invece mi ero prefissato di fare. Vabbé, recupero postando in una botta sola due interventi che molti dei miei (pochi, ovviamente in senso manzoniano) lettori avran già trovato sul forum di SBoNK - pace all'anima sua.

Demian #1: Il Ricordo e la Vendetta [Bonelli, Maggio 2006]
Letto anche io ieri in treno. Che dire? Fin dall'inizio mi sono preso benissimo. Una narrazione parallela tra la le ricerche di uno scrittore per ricostruire la presunta morte di un personaggio, e le vicende del personaggio stesso, che palesemente morto non e' affatto. Una serie "chiusa" dove la fine coincide con la completa dipanazione della matassa, l'intersecarsi delle due linee narrative e il ritorno in scena dello "scomparso". Bellobello, ce ne fossero di Bonelliani cosi'.
Eh, ce ne fossero. A pagina cento questo primo numero di Demian si rivela per quello che e' e promette di essere anche la serie: il solito Bonelliano del cazzo, col bel tenebroso dal passato travagliato ma che sotto sotto e' tanto buono e per dare conferma di cio' se ne fa una o piu' a episodio. Cento pagine. Cento pagine e' durato il mio interesse verso una serie che, porco giuda, partiva da dio.
Prendero' anche il prossimo numero, diamogli un'altra possibilita'. Caduta l'illusione di una serie bonelliana anti-bonelliana, speriamo almeno in un decente per quanto trito bonelliano ordinario.

Da Watchmen agli Ultimates: Evoluzione e Rivoluzione del Supergruppo
1986: vent'anni fa. Chernobyl, il Nobel alla Montalcini, la morte di Cary Grant. Watchmen. Un punto di non ritorno per il fumetto superoistico, e non solo per quello. Moore ribalta come un calzino la figura del supereroe: altro che difensore della terra, "Who watches the watchmen?", chi la difenderà dai suoi "difensori", da un branco di psicopatici, depravati, falliti che di sovrumano sembrano avere solo le turbe psichiche? Di "grandi poteri" se ne vedono pochi, e chi ne ha sembra voler fare tutto fuorché assumersi "grandi responsabilità". Sono le non-virtù ad essere alla ribalta: la mediocrità di Nightowl e dello Spettro di Seta, il cinismo reazionario del Comico, l'alienazione dal mondo di Doctor Manhattan, le lucide e deliranti "giustizie" di Rorschach e Ozymandias, l'una schizofrenica e passionale, l'altra fredda e megalomane.
L'opera di Moore va ben oltre lo sconvolgimento del cliché del supereroe, e rimando all'apposito thread per discutere ulteriormente dei suoi numerosi livelli di lettura. Vorrei però soffermarmi sul ruolo di Watchmen nel ridisegnare la letteratura supereroistica, in particolare quella riguardante i gruppi. O meglio, vorrei che vi soffermaste voi, visto che io non ne so sostanzialmente nulla. Non conosco gli sviluppi immediatamente successivi del genere, anzi ho un buco che arriva grossomodo alla fine degli anni '90. Watchmen: 0-0 palla al centro, ma poi? Com'è stata raccolta la sua lezione? Come si è evoluta, come si è diffusa, com'è degradata e degenerate, che impatto ha avuto sulle serie regolari e su quelle "one-shot"?

Ho un buco, dicevo. Un buco di 13 anni. Questo è il lasso di tempo che intercorre tra lo scossone di Watchmen e i primi episodi delle saghe di Warren Ellis "Planetary" e (soprattutto) "The Authority", entrambi datati 1999. Ne è passato di tempo, e si vede. Si vede anche che Watchmen, Ellis, se l'è letto bene, ed è con lo stesso intendo di "ribaltare tutto come un calzino" che parte.
Già in "Planetary" troviamo supereroi atipici, anzi non veri e propri supereroi, ma più che altro "uomini straordinari", personaggi quasi mitologici senza un'origine e con un passato confuso, impegnati non a salvare il mondo ma a scoprirlo, sondarlo, trovarne i bachi per rimetterlo a posto. Non uno squadrone guidato dal lungimirante filantropo o dal figo di turno, acclamato o demonizzato dalla gente e dai giornali, attaccato immotivatamente da super-nemici che sembra non abbiano nient'altro da fare nella vita se non prendersela con i piccoli perché arrivino i leoni con cui azzuffarsi. No, piuttosto un nucleo operativo iper-segreto, dotato di un'efficiente organizzazione capillare, a conoscenza di dati off-limits per chiunque altro e soprattutto finanziato e guidato da non si sa chi e non si sa perché. Tre i componenti del gruppo: tre personaggi di cui non si sa nulla, se non che l'ultimo arrivato ha quasi cento anni, è nato il primo gennaio del 1900 e non si ricorda alcunché del suo passato e che, tra tutti e tre, sembrano tutto fuorché dei "bravi ragazzi" con la passione del volontariato estremo.

Ma questo non è niente. Un bel gioco narrativo, una scatola in cui infilare tonnellate di citazioni e parodie all'insegna di un ben dosato post-modernismo. La bomba è "The Authority": "Il primo grande supergruppo del Ventunesimo Secolo", scrive Grant Morrison nell'introduzione al primo volume. Ellis riprende le stesse idee di fondo, le porta all'estrema conseguenza, e ne aggiunge un mucchio d'altre. Basta supereroi nati per caso, da un incidente, da un test fallito, largo a una nuova sorta di "Pantheon": ecco a noi Jennifer Sparks, lo "Spirito del Ventesimo Secolo", l'anticorpo del pianeta che nasce (pure lei) il primo gennaio 1900 e muore il 31 dicembre 1999. Ed ecco "The Doctor", lo Sciamano, il mago del Cambiamento, erede di una continuità lunga come la storia dell'uomo (un certo Alan Moore deve averne tenuto conto, nel pensare a "Promethea"), ecco Jack Hawksmoor, il "Dio delle Città", in connessione neurale con ogni metropoli della terra, Angela Spica, "Engineer", il Costruttore, la scienziata che ha barattato il suo sangue con nove pinte di nanorobot. Apollo, il "Dio del Sole", e Midnighter, la letale coppia gay di soldati modificati chirurgicamente in macchine da guerra, e Swift, la tibetana mezza donna e mezza falco (il personaggio più debole e meno sviluppato della serie, a dire il vero). Un bel gruppo di superbastardi, con una tonnellata e mezza di vizi e tenuti assieme solo da quel briciolo di ostinatezza e megalomania necessari per prendere a pugni in faccia chichessia a patto di cambiare il mondo in un posto più decente. "Non siamo un supergruppo da fumetto che ogni mese combatte inutili battaglie contro inutili supercriminali per preservare lo status quo" scrive Mark Millar per bocca di Jack Hawksmoor, rivolto a Bill Clinton. "Attento a dove mette i piedi, signor hawksmoor", risponde questo. "Francamente potremmo dirle altrettanto. Signor presidente". Non esattamente quello a cui uno è abituato a sentir dire dal leader del supergruppo più popolare del pianeta. Che, per dovere di cronaca, due tavole dopo va a spezzare le ossa agli equivalenti degli Avengers, tanto stronzi quanto filo-americani.
Ellis e Hitch, e ancora di più Millar e Quitely, si prefiggono e raggiungono l'obiettivo di aggiornare il fumetto superoistico all'era della globalizzazione e dei no-global, della dittatura mediatica e della "Pax Americana". Un fumetto "cool" fino all'eccesso, fatto di scene "widescreen", tecnologie fantascientifiche, sì, ma rispetto a oggi e non a trent'anni fa, in cui i nemici non sono supercattivi in calzamaglia ma terroristi internazionali (due anni prima dell'11 settembre), vampiri alieni italo-vichinghi provenienti da un'Inghilterra alternativa in pieno inverno post-atomico, un super-organismo alieno assimilabile a Dio che viene a riprender possesso del suo pianeta, uno scienziato segreto americano animato dagli stessi intenti, deciso a usare gli stessi mezzi ma assolutamente intenzionato a sbarazzarsi della "concorrenza" constituita dall'Authority, poi addirittura il Pianeta stesso.
Un supergruppo scomodo e tutt'altro che diplomatico, cinico e determinatissimo.

E' questo il punto di partenza, la pietra d'angolo a cui la Marvel reagirà con "The Ultimates", per mano dello stesso Millar. Se Authority era esplosivo nelle idee, rivoluzionario nei concetti, ma povero negli intrecci, la rilettura degli Avengers che Millar imbastisce è di una complessità e profondità stupefacenti. Dove Ellis era provocatorio verso la società e l'estabilishement, Millar è polemico. Cinico. Realistico fino a farti credere che le sue caricature siano vere (non lo sono?). Nel mondo degli Ultimates non esiste il caso, non esiste la fatalità che crea qualcosa di nuovo, niente sfugge al controllo e se qualcosa lo fa va soppresso, tenuto nascosto e giustiziato. Tutto si spiega: ogni componente del gruppo, in un modo o nell'altro, deve i suoi poteri alla ricerca sul Siero del Supersoldato che sessant'anni prima aveva trasformato Steve Rogers in Capitan America, il super-efficiente e super-astuto e super-obbediente paladino della nazione. Millar taglia col bisturi la psicologia di ogni personaggio, disseziona la rete di relazioni che li tiene assieme, tira al massimo i fili che li legano alla società, li spezza, li ricuce. La domanda non è "chi sono i buoni e chi sono i cattivi?", né "esistono i buoni e i cattivi?", ma quale dei cattivi sia il più affidabile, chi la racconti più verosimile e chi giochi meno sporco. Millar fa finta di parlare di supereroi, finge anche di parlare di persone: in realtà parla di te, delle tue paranoie e delle tue seghe mentali, e della società, senza risparmiare colpi né per te né per lei. Nell'anno 2006, vent'anni dopo Watchmen, "The Ultimates" dimostra che Moore aveva solo iniziato una strada, e le potenzialità offerte dal genere, un genere in cui è difficile non scadere nella banalità, nell'autocitazionismo da nerd e nel manierismo, sono ancora tutte da sviluppare. Almeno se, conclusi i suoi cicli, il buon Millar abbia lasciato ancora qualcosa.

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