MUSICA, VITA ED ALTRE AMENITÀ


9.6.06

Ascolti della settimana (5-14 Giugno)

della settimana:
Lightning Bolt: Wonderful Rainbow [Load, 2003]
8/10
Me li avevano spacciati per metal avanguardistico. Se l'aggettivo "avanguardistico" ha ancora senso, loro lo sono senza dubbio, ma metal no di certo. Non è un problema, e peraltro è comprensibile che sia difficile categorizzare roba di questo genere. Di mio, non avevo mai sentito nulla di simile. Ok, i Ruins, i Boredoms, più o meno i territori sono quelli, ma i suoni e la velocità appartengono a un altro mondo. Non so che razza di effetti abbiano messo sti due di Providence sui loro strumenti, ma tutto suona iper-saturo e iper-effettato, elettronico. Leggo che il tizio canta col microfono in bocca e non stento a crederlo. La batteria è l'hardcore più secco, frenetico e meccanico che si possa immaginare, i pezzi sono deliri vulcanici in bilico tra geometria e convulsione. Bella merda, no? No. La prima reazione è "ma che diavolo sta succedendo?", la domanda successiva "da dove li tirano fuori sti suoni?". E mentre uno si interroga, inizia a intuire la precisione del disegno che sta sotto alla follia del disco. E' perfino melodico. A me "Hypermagic Mountain", presto!

della settimana:
Mew: And the Glass Handed Kites [Sony, 2005]
7,5/10
Questi Mew sono danesi e se ne sta parlando abbastanza. Gira la locuzione "progressive pop" e non posso essere incuriosito, anche se temo il solito abuso per indicare invece prolissaggini condite di pomposità varie. Vabbé, tentiamola, mi dico. Già alla prima traccia è chiara una cosa: questi di cosa sia il progressive una vaga idea l'hanno, ma il loro obiettivo non è assomigliargli. Non è mica ai Genesis che pensano, ma ai My Bloody Valentine. Un album fatto tutto di canzoni concatenate, un suono davvero molto shoegazer che però non ha paura di andare a ripescare dalla soffitta il caro vecchio mellotron. Senza dubbio quello che balza all'occhio è l'eclettismo della formula proposta: melodie sognanti ma immediatissime, arrangiamenti eterei arricchiti qua e là da pianoforte, fisarmonica e soprattutto tante tante tastiere, incastri ritmici tanto naturali quanto indecifrabili (spesso le chitarre sembrano suonare su un metro diverso dal resto, ma non son riuscito a verificare se è davvero così). Bello, bello. "Apocalypso"-"Special" è un'infilata difficile da non adorare.

Thom Yorke: The Eraser [XL Recordings, 2006] 7/10 (R)
Radiohead: Com Lag (2Plus2IsFive) [EP] [Emi, 2004] 7,5/10 (R)
Radiohead: Amnesiac B-Sides [non ufficiale, 2001] 7/10 (R)
(...And You Will Know Us By The) Trail of the Dead: Worlds Apart [Interscope, 2005] 5/10 (R)
Lanterna: Desert Ocean [Jemez Mountain, 2006] 6,5/10
Clogs: Lantern [Brassland, 2006] 7,5/10 (R)

The Evpatoria Report: Golevka [Shayo Music, 2005] 7,5/10
Di solito si dice: "diffidate dalle imitazioni". Applicare questa regola nel caso degli svizzeri Evpatoria Report porterebbe però a una perdita considerevole per chi ama l'originale, ovvero i Godspeed You Black Emperor!. "Golevka" è né più né meno che un clone dei primi dischi della band canadese, con l'aggiunta (determinante, peraltro) di qualche elemento preso in prestito a Mogwai e Explosions in the Sky. Un clone incredibilmente ben riuscito, tanto da non temere confronti con l'originale. Gli ingredienti ci sono proprio tutti: gli ostinati di archi, i crescendo, perfino i frammenti di comunicazioni radio, tutto orchestrato con la stessa maestria e quel paio di trovate in più, i muri di chitarra dei Mogwai e gli arpeggi puliti degli EITS, che trasformano un pezzo come "C.C.S. Logbook" in qualcosa di emotivamente devastante. Chapeau.

Esmerine: If Only a Sweet Surrender to the Nights to Come Be True [Resonant, 2003] 7/10
Grails: Red Light [Neurot, 2004] 8/10 (R)
Ulan Bator: Ego:Echo [Young God, 2000] 8/10 (R)
Dysrhythmia: Barriers and Passages [Relapse, 2006] 7/10 (R)

Collapsar: Collapsar [Escape Artist, 2005] 7,5/10
L'ho cercato in lungo e in largo, ma alla fine l'ho trovato. Un disco math-rock inequivocabilmente crimsoniano: mi sembrava talmente assurdo (e mi sembra tuttora) che nessun gruppo math desse segno di conoscere e amare chi il genere l'ha, a modo suo, inventato vent'anni prima di Don Caballero, Shellac e compagnia cantante! E invece questi Collapsar si direbbero essere cresciuti a pane, Dazzling Killmen, Slayer e King Crimson. Io, da bravo fanatico, ci sento soprattutto i King Crimson, nelle armonie, nelle progressioni, negli incastri ritmici. E perfino in quella chitarra che, cosa rarissima nel genere, intreccia linee melodiche sopra all'apocalisse noise-rock con un timbro molto personale sì, ma che al buon Robert Fripp deve più di qualcosina. Intendiamoci però: non è che questo è un disco che va bene se sei fissato coi King Crimson e altrimenti non vale nulla, anzi, è davvero interessante e ben riuscito nellala sua sintesi math-metal, lontanissima dai Dillinger Escape Plan o dai Meshuggah e vicina piuttosto a una versione più pesante e cervellotica dei Don Caballero. Ma poi, come si fa a non ammirare un gruppo che intitola una traccia "King Kong Died for Your Sins"?

The Mass: City of Dis [Crucial Blast, 2004] 8/10 (R)
Anacrusis: Manic Impressions [Metal Blade, 1991] 7/10
Meshuggah: I [Nuclear Blast, 2004] 8/10 (R)
Agalloch: Ashes Against the Grain [The End, 2006] 7/10
Agalloch: The Mantle [The End, 2002] 8,5/10 (R)
Ephel Duath: The Painter's Palette [Earache, 2003] 7,5/10 (R)
Ephel Duath: Pain Necessary to Know [Earache, 2005] 8,5/10 (R)

Garden Wall: Forget the Colours [Mellow, 2002] 7,5/10
Gli italiani Garden Wall, mi dicono dalla regia, sarebbero uno di quei gruppi neo-prog schifosamente genesisiani di cui si sente sempre meno il bisogno, se mai lo si è sentito. Sarebbero, o a quanto pare erano, perché questo "Forget the Colours" sfugge a qualsiasi genere di catalogazione. Delirio. Il primo paragone che mi vengono in mente sono gli ultimi Ephel Duath, ma molto più ricchi a livello di colori e arrangiamenti. L'influenza del death-metal più tecnico è evidente, ma la batteria pesantissima e le chitarre aggressive non sono che un elemento di un disco che fa dell'eclettismo la propria bandiera. La forma-canzone va completamente a farsi benedire, i brani sono un flusso che muta continuamente di riff e incastri sui quali si staglia la voce dilaniata di Alessandro Serravalle, sorta di Peter Hammill dell'espressionismo, impegnato in ogni sorta di latrato atonale. Disco impenetrabile e difficilissimo, dopo una dozzina di ascolti ancora non sono in grado di dire se mi piace davvero o no. Quel che è certo è che è un'esperienza unica, che piaccia o non piaccia merita di essere provata anche solo per lo straniamento che provoca.

King Crimson: Larks' Tongues in Aspic [EG, 1973] 9/10 (R)
King Crimson: Beat [EG, 1982] 7,5/10 (R)

King Crimson: Vrooom Vrooom [Discipline Global Mobile, 2001] 8,5/10
Doppio disco dal vivo della formazione a "double trio" registrato nel '96, questa carrellata selezionata di pezzi che vanno copre quasi trent'anni di storia è probabilmente il live definitivo dei King Crimson. Trent'anni che non si sentono, visto che tutti i pezzi sorgono a nuova vita alla luce del sound di Thrak. Ogni disco è un flusso assolutamente continuo, praticamente senza momenti morti, in cui sbalordire per il groove che pezzi vecchi e nuovi acquistano nelle riletture dell'incarnazione che forse incarna meglio l'idea fondamentale alla base del gruppo. Ad uscirne particolarmente bene sono i pezzi del periodo Discipline, che sprigionano in questa dimensione tutto il loro matematico potenziale. Gli incastri ritmici sono davvero qualcosa di ineguagliabile, e tutto l'insieme fa emergere quello che è un tratto distintivo della musica dei Crimson in generale: la dualità fra armonia e dissonanza, melodia e rifiuto delle scale usuali, lirismo e lucidità, immediatezza e cervelloticità. Questa è forse la chiave per decifrare il cammino artistico di un gruppo la cui grandezza, e lo dimostra un disco come questo, non si ferma certo a "The Court".

Heldon: Alez Teia [Urus, 1975] 6,5/10 (R)
Museo Rosenbach: Zarathustra [Ricordi, 1973] 5,5/10 (R)
Yes: Relayer [Atlantic, 1974] 7,5/10 (R)
Jon Anderson: Olias of Sunhillow [Atlantic, 1976] 7/10 (R)
Anderson, Bruford, Wakeman, Howe: [Self-titled] [Arista, 1989] 6,5/10 (R)

Bill Bruford: Feels Good to Me [EG, 1978] 8/10 (R)
Disco inspiegabilmente dimenticato in ambito progressive e fusion, la prima uscita solista del fenomenale batterista di King Crimson e Yes è invece un disco imperdibile, che sta da qualche parte tra Mahavishnu Orchestra, Hatfield and the North e National Health e rivela una classe e una fantasia davvero invidiabili. Non si deve pensare a un lavoro di puro esibizionismo batteristico: senza dubbio la tecnica c'è, così come quella degli altri strumentisti, ma è tutto fuorché sbattuta in faccia all'ascoltatore, che preferisce invece farsi trasportare dall'irrefrenabile groove e dalla seducente voce femminile che accompagna tracce come "Back to the Beginning". Questo è il più fusion dei dischi progressive rock e il più progressive rock dei dischi fusion che abbia ascoltato, ed è senza dubbio immancabile per chi volesse esplorare entrambi i generi.

Isao Tomita: Firebird Suite [RCA, 1975] 4/10
Isao Tomita: Tomita Planets [Atlantic, 1976] 6,5/10

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