Qualche dritta musicale
Directions in Music: s/t (1996)
Anello di congiunzione tra June of 44 e Tortoise, l'omonimo dei Directions in Music e' prima di tutto un disco magico, impossibile da spiegare. Ci provero' dicendo che la sua musica e' come uno specchio d'acqua limpida e calma, in cui si riflette il cielo. Lievi increspature, onde perfette e circolari che si propagano impercettibilmente sulla superficie. La batteria, cosi' in stile John McEntire, non e' un terreno in cui affondare solide radici, ma l'acqua su cui solo corpi leggerissimi possono, delicatamente, fluttuare.
Eppure non e' un disco astratto, difficile, che trova la sua ragione nell'essere sperimentale. Al contrario e' accogliente, caldo e soffice nonostante il distacco. Rilassante. Meravigliosamente banale.
Bästard: Radiant, Discharged, Crossed-off (1996)
Ringrazio non senza ritrosie Eddy Cilia e S.I. Bianchi per avermi fatto scoprire questo gruppo. Pensavo che gli Shellac fossero il top in quanto a efferatezza raggelata, ma mi sbagliavo. Il batterista e' il mio nuovo idolo: mai invadente, 4/4 fisso ma frammentato in ogni sottodivisione possibile, mondi interi creati da un pugno di colpi a battuta. Per il resto... riuscite a immaginare i Kyuss che suonano i Tortoise?
Diabologum: #3 (1996)
Ben strano quest'album. Uno stile assolutamente unico, senza termini di paragone diretti ma certamente iscrivibile in ambito post-rock. Sonic Youth, Pink Floyd, una buona dose di trip-hop sembrano gli elementi principali di questo rock muscolare e spaziale, denso e dalle tinte metropolitane. Parti vocali eccezionali, a meta' tra cantato e hip-hop, senza dubbio tra i migliori esempi che conosca di cantato in francese. Di primo acchito sembra semplicemente un album mixato da cani, poi pian piano si rivela e diventa terribilmente coinvolgente.
Subtle: A New White (2004)
Bella scoperta l'esordio dei Subtle, dei dischi che ho sentito questa settimana il piu' vicino ai cLOUDDEAD. In meglio, nel senso che esprime la loro anima "post" all'ennesima potenza, lasciando da parte tutti gli altri aspetti che un po' mi infastidiscono. Lo stile piu' concettuale e graffiante di Dose One rende il disco estremamente astratto, anche se lui mi sta sul cazzo solo a vederlo. Basi stupende, ricche di sfumature e tocchi di colore discreti, con il culmine nella strepitosa "She" e le sue tinte arabeggianti (a me viene in mente "Sartori in Tangier" dei King Crimson, pazzia).
Shub-Niggurath: Les Morts Vont Vite (1986)
Mai sentito niente di cosi' tetro e apocalittico. Neurosis, Univers Zero, Amon Duul II: fate ridere i polli. Stephen O'Malley vatti a nascondere. Un disco del genere pone seri problemi sulla sensatezza dell'esistenza dei Magma, di meta' kraut, del drone-metal, dello sludge, degli stessi Ruins che sembrano avere copiato il sound di questo basso in ogni minimo dettaglio.
E' il disco rock piu' vicino all'avanguardia "classica" che abbia sentito. E non sembra mera imitazione, ma reale condivisione di intenti e modalita', con eguale profondita' concettuale e cognizione di causa. Batteria lentissima e granitica, basso fangoso, viscoso che a paragone i Melvins son dei pivelli. Chitarra frippiana e tagliente, ma lenta, lentissima. E poi il pianoforte: due note al minuto, magari sempre le stesse due, ma chissa' come riescono sempre a ridisegnare la musica, a scardinarla. Il soprano aggiunge un'aura paradisiaca, che non potrebbe contrastare di piu' con il catrame infernale degli altri strumenti. Sono sbalordito.
The Ex + Tom Cora: Scrabbling at the Lock (1991)
The Ex: Joggers & Smoggers (1989)
Tom Cora: Live at the Western Front (1987)
Dopo qualche assaggio negli Skeleton Crew e nei Nimal, mi sono gettato alla scoperta della musica di Tom Cora. Il suo stile personalissimo, un'improvvisazione free basata non sul jazz, non sul rock ma sulla musica tradizionale est-europea, sembra nato apposta per me. Mi hanno incuriosito anche gli olandesi The Ex, propinati come emuli dei Crass ma almeno in questi lavori decisamente distanti, e dai Crass e dal punk comunemente inteso e rivolti a un'interessante esplorazione noise-rock dell'eredita' tradizionale europea.
Jackie-O Motherfucker: Fig. 5 (2000)
Ripescato dopo tempo, questo interminabile album rappresenta il classico esempio di quelle cose che mi piacciono da matti contro ogni regola e previsione. Questi cazzeggi acid-folk dilatati, pigri, circolari e destrutturati tendenzialmente mi fanno due palle come una casa. E invece il lento ribollire di "Figure 5" mi conquista nonostante o proprio per i suoi rumorismi, i suoi mormorii free-jazz e il suo non andare da nessuna parte. Che e' poi un po' l'effetto che mi fanno i Supersilent. Bah, chi se lo spiega.
Bob Kilgore: Epicicles (2004)
Questo chitarrista minimal-sboron-acustico mi ha stregato. Uno stile molto personale a meta' tra Reich, il Fripp dell'era "Discipline", Michael Hedges e i vari chitarristi celtici tradizionali. Tecnicamente mostruoso, mi ha sorpreso leggere che tra la composizione e l'incisione della musica dei suoi dischi corre uno iato di dodici anni in cui non ha mai toccato la chitarra. Nonostante tutte le possibili accuse di virtuosismo fine a se' stesso, trovo la sua musica molto coinvolgente, sentita e di classe.
Terry Riley: In C [Shanghai Film Orchestra, Wang Yongji] (1992)
Terry Riley: A Rainbow in Curved Air (1969)
Terry Riley & Don Cherry: Live In Cologne: Unreleased Radio Broadcast (with Karl Berger) (1975)
John Cale & Terry Riley: Church of Anthrax (1971)
Terry Riley: Salome Dances for Peace [Kronos Quartet] (1989)
Dei non moltissimi compositori minimalisti che abbia ascoltato, Terry Riley e' senza dubbio il mio preferito. Questa settimana ne ho approfittato per rispolverare quel che gia' conoscevo e procurarmi qualcos'altro.
Il live con Don Cherry l'ho beccato per caso su slsk cercando tutt'altro, e direi che e' stata una discreta botta di culo, visto che in rete pare non essercene traccia (se non qualche citazione estemporanea qua e la'). Si tratta probabilmente della cosa di Riley che piu' mi ha colpito in assoluto: le fluttuazioni quantistiche e le intersezioni sottili dell'organo alla "A Rainbow in Curved Air" fanno da sfondo alla tromba dall'altro mondo di Don Cherry, in tre pezzi che hanno come unico difetto di finire, a un certo punto.
"Salome Dances for Peace" e' invece un lavoro estremamente diverso e vario. Abituato al Riley degli anni 60-70, non sembra nemmeno lo stesso compositore. Sentendo i primi, ritmatissimi movimenti di "Anthem for the Great Spirit" verrebbe piu' da pensare a Bartok o Stravinsky, e anche "Conquest of the War Demons" ha un carattere fortemente ritmico e folkloristico che davvero non mi aspettavo di trovare. "The Ecstasy" e' la composizione che piu' si riallaccia allo stile consueto, ma e' anche la meno riuscita a mio avviso. Ad ogni modo un lavoro di grande valore, riprova della grandezza e della poliedricita' dell'artista.
Jirí Stivín: Alchymia Musicæ (1997)
Beccato per caso su Allmusic cercando emuli di Dave Brubeck (con cui non c'entra assolutamente nulla, a ben vedere), "Alchymia Musicæ" del jazzista e compositore ceco Jiri Stivin contiene la musica piu' celestiale che abbia mai ascoltato. Il primo ciclo di pezzi, "The Inspiration of the Renaissance", e' un inedito e riuscitissimo connubio di madrigale e free-jazz: polifonie vocali e un jazz dalle tinte calde, capace di essere vellutato o impetuoso a seconda del momento. A emergere dal magma paradisiaco che si crea sono soprattutto i silenzi, gli interstizi: buffo, pensando che le note non sono certo lesinate. Gli altri pezzi sono piu' convenzionali ma altrettanto efficaci, e se "The Alchemysts' Trip" tiene perfettamente fede al suo titolo, "The Metamorphosis of Time" e' invece un altro azzardo: questa volta gli svolazzi free si appoggiano, o meglio si compenetrano, con la musica da camera post-tonale della prima meta' del '900. Anche qui il risultato e' unico, magico e sorprendente. Un capolavoro scoperto davvero per caso.
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