A ciascuno la sua Woodstock
E' passato un po' di tempo. Chiedo scusa: è che più il tempo passa dall'ultimo post, più sembra di dover scrivere qualcosa di eccezionale per ricominciare. Bene, il qualcosa di eccezionale ce l'ho.
La nostra Woodstock è iniziata con quattro corsie modello Gardaland: controlli sulle borse, conversione della prenotazione telematica in biglietto, conversione del biglietto in braccialetto + tesserino magnetico, controllo del braccialetto, delle borse, del tesserino magnetico. Una Woodstock di maxischermi e palchi sponsorizzati. E senza bis. Una macchina per far denaro, in catena di montaggio, diversificare l'offerta per attirare quantà più domanda possibile. Epocale come la spesa all'ipermercato.
Eppure torno a casa e non riesco a far capire agli altri la portata dell'evento. Mi ritrovo a dover dire "il gruppo più famoso che c'era erano i White Stripes, o gli Smashing Pumpkins", e a farlo sembrare l'ennesimo concertone-satellite di MTV, un Heineken Jammin' Festival dei poveracci. Un anfiteatro intero ad applaudire gli Slint è qualcosa che non si può spiegare al vicino di casa. Perché sarà stato tutto preconfezionato, ma le mille persone in estasi durante Daydream Nation erano autentiche.
Certo, una simile concentrazione di alternativi fa il suo effetto. Anche il concetto, così indie, di "musica d'élite" esce ridimensionato da platee di migliaia di persone. Le magliette a righe orizzontali a seguire gli Slint, le magliette di tatuaggi a seguire gli Isis. C'è qualcosa di spaesante, di spersonalizzante in questa massificazione.
Alternativo dei miei coglioni, che quando io ascoltavo i Dead Kennedys tu nemmeno ti facevi le pippe.
Che poi, diciamolo, i Dead Kennedys fan cagare.
2 comments:
Hai sentito Alexander Tucker?
Riccardo
Non scrivi più nulla? Ho bisogno delle tue recensioni. Soprattutto di dischi prog.
Riccardo
Post a Comment