Anni nuovi e anni vecchi
E' vent'anni che questa data mi perseguita. Per i miei genitori, il "Sessantotto" è stato quasi sicuramente l'evento più importante di tutta la vita. La loro intera rete di conoscenze e di interessi, lo stesso fatto che si siano incontrati, deriva quasi unicamente dalle faccende ad esso correlate.
Io ho vissuto per anni nel mito di quella situazione e degli anni che ne sono derivati. E per anni ho vissuto inconsciamente nell'attesa che arrivasse il mio turno. Non è questione di rivoluzione, di attivismo politico, di idealismo o che, quella fase della crescita l'ho vissuta in sordina e superata da un pezzo. E' l'idea di un "fermento" culturale e sociale, che prima di coinvolgere ogni ambito della società tocca tutti gli ambiti in cui mi muovo.
Ho 21 anni e il "mio" Sessantotto non arriverà mai. Non so cosa fare. Al posto della situazione viva e ricca di scambi, contatti, che immaginavo e in cui ho sempre confidato, vivo in una piccola serie di ambienti chiusi e ristretti. E, quel che è peggio, mi sembra che anche quelli con cui non ho direttamente a che fare siano uguali.
L'ultimo ambiente grossomodo "aperto" che ho conosciuto è stato il liceo. E al tempo, in piccolo, una simile condizione di "scambio" continuo sul piano culturale e sociale l'ho vissuta. Forse non così intensamente come avrei potuto, ma di certo più che in qualsiasi altro momento (o magari no, ma prima di allora tutto era molto più "da bambini" e improntato al gioco, in ogni caso al gruppo in sé e non a cose "altre"). Proprio con l'università, che per come la immaginavo sarebbe stata il coronamento di un clima di scambio, tutto questo è scomparso. Credo derivi anche dal fatto che frequento un corso con pochi iscritti, prevalentemente ragazze e molto studiose. Un ambiente estremamente piccolo e chiuso che è andato ad ingombrare suo malgrado il posto precedentemente occupato dal liceo, che era totalizzante ma senza dubbio favoriva molto l'interscambio. Sarebbe stato a me sapermi costruire degli ambienti alternativi, ma non ne sono stato capace, anzi non ho neanche tentato di farlo, visto che le mie cosine le avevo e pensavo sarebbero bastate. E soprattutto che credevo fosse solo questione di ambientarsi, e che rapidamente l'università si sarebbe mostrata in tutta la sua "sessantottinità" congenita.
E' da troppo tempo che non vado al cinema a vedere un film "serio", che non discuto con qualcuno di un libro, che non vado a una mostra d'arte. Possono sembrare false pretese di intellettualismo ma sento di averne bisogno, e che quello è il tipo di vita che mi interessa fare. E' un modo di vivere che mi hanno trasmesso i miei genitori ed e' figlio di quel dannato numero là sopra, un numero che oggi mi sembra lontanissimo dalla mia vita e da quella delle persone e della società che mi circondano.
Dovrei fare qualcosa, ma cosa? Continuo a rimandare qualsiasi progetto (qualcuno ne ho, e anche qualche mezzo desiderio) perché non so cosa farò della mia vita da qui ad un anno. Si avvicina il momento di una grossa decisione e ho paura di muovermi nel frattempo. Devo decidere dove e cosa studiare l'anno prossimo. Le opzioni sono tre: restare a Pavia e adeguarmi a un curriculum di studi che non mi interessa, facendo salvi e consolidando i rapporti che ho creato in collegio; fare domanda di Erasmus da Pavia, ma pare che al primo anno di specialistica si possa andare via solo per un semestre (decisamente poco); abbandonare Pavia e andare da qualche altra parte (Milano? Torino?). Ognuna ha i suoi pro e i suoi contro e il suo carico di rinunce da intraprendere.
Dovrò decidere verosimilmente entro un paio di mesi, e nel frattempo non so come comportarmi. Soprattutto, non so da che parte "buttarmi": Bergamo o Pavia?
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