//Ƿi✝Ch_h▲Us Ѭ\\ (leggi: "witch housisms")
Se non ci avete capito niente del titolo, non preoccupatevi. Anche winamp non ci sta capendo niente di quel che sto ascoltando, l'album "✞◇✞" di (o dei?) ✝ DE△D VIRGIN ✝. Di come si legga il nome del disco non ho idea, ma so che tale †‡† sostiene che il suo nome vada letto "rrritualzzz". Quindi io posso tranquillamente affermare che il ghirigoro cirillico là in cima stia per "isms", non vi pare?
Forse però mi state prendendo per matto. Occorre allora fare un passo indietro: a un anno fa circa, quando sulla rivista "The Wire" il giornalista David Keenan conia il termine "hypnagogic pop":
L'hypnagogic pop è musica pop rifratta tramite la memoria di una memoria. Attinge il suo potere dalla cultura pop degli anni Ottanta, durante i quali nacquero molti dei musicisti coinvolti nel genere, e che solo ora stanno venendo fattorizzati nella musica underground come un'influenza spettrale. I reami ipnagogici sono quelli al confine tra veglia e sonno, zone-limite dove cose sentite male e allucinazioni alimentano la formazione di sogni. [...] lo spazio mentale di un bambino appena prima di addormentarsi, con musica pop e disco che da lontano arriva attutita attraverso il muro e si infiltra nel subconscio.Al di là dell'incipit qui riportato, l'articolo è bruttarello, ed è principalmente una furbonata con cui Keenan cerca un po' di pubblicità per gli artisti del suo mailorder Volcanic Tongue: James Ferraro, Spencer Clark e altra gente del giro merdaiuolo americano. L'underground dell'underground, insomma.
Fatto sta che, al di là di ogni previsione dell'autore, l'etichetta rimbalza per mezza internet in men che non si dica, e tempo qualche mese tutti sono pronti a definire la propria musica "ipnagogica". Synth pop annacquato, ribolliture di Steely Dan, perfino sigle televisive smagnetizzate: tutto fa brodo, a patto che ricordi i tempi andati con retrogusto velatamente kitsch e un po' di nostalgica foschia. Anche intellettuali e sociologi del pop ci danno dentro, e rispolverano gongolanti l'idea di "hauntologia" elaborata da Derrida e già tempo fa sdoganata in ambito musicale da Simon Reynolds (per chi volesse documentarsi, c'è questo eccellente articolo che io non ho letto).
Insomma, l'hypna è la moda del momento per tutta la fine del 2009 e l'inizio del 2010. Poi a maggio Pitchfork se ne esce con una nuova mirabolante etichetta: "drag". Che non piace a nessuno e viene presto sostituita dal più evocativo "witch house".
L'idea alla base, invece, piace moltissimo: elettronica casereccia, lo-fi come può esserlo la musica di chi smanetta con Reason solo da pochi mesi (e da qui la house - che non ha niente a che vedere con quella dei club); poi atmosfere mefitiche, tra il tetro e il nebbioso, corroborate da cliché horror vari e rimasugli di mainstream ultrakitsch che come spettri infestano l'aere (questo invece è l'elemento witch). Ad affascinare, però, è soprattutto l'armamentario l33t/esoterico che da subito viene associato al genere: nomi impronunciabili e talvolta anche intrascrivibili (tra i più creativi: oOoOO, ///▲▲▲\\\, Pwin ▲▲Teaks, ℑ⊇≥◊≤⊆ℜ e il già citato †‡†), video very hypna saturi di immaginario da b-movie, foto solarizzate o giù di lì di riti magici vari, forme geometriche, icone pop di ieri e di oggi. L'hype è fulmineo, ma vaccinati dalla mezza sòla ipnagogica - e allertati dalla sottile affinità tra i due stili - molti tra i più scafati frequentatori di novità musicali guardano alla cosa con sospetto. "La solita bufala inventata dai giornalisti", e via. Io dico invece che a farla così semplice ci si perde molto.
Entriamo nella casa delle streghe, e capiamo il perché.
Non è questo l'unico elemento "meta" a rendere assieme emblematico e peculiare il genere, ma siccome sento una vocina che inizia a borbottare "Sì, ma la musica?" rimando a dopo le ulteriori considerazioni. E sia: parliamo di musica.
I bassi sono poca cosa: la parte del leone spetta alle medie frequenze dei sintetizzatori. Presi di peso dal synth-pop più nebuloso, dopo una cura di rallentamenti ed effetti vari finiscono per somigliare agli sbalzi di intonazione nelle VHS invecchiate. Nonostante gli echi ambient, nonostante gli influssi shoegaze e l'aura chiesastica, emergono soprattutto per il loro carattere slavato.
Infine, la voce. Può essere presente o assente, ma quando c'è non è niente di simile a una rassicurante melodia principale. Piuttosto, affiora come elemento di sottofondo: un mormorio hip-hop lentissimo e stagnante, una nenia pop ridotta a sussurro, o ancora una filastrocca svogliata e filtrata da mille riverberi. Un fantasma, un'apparizione priva di calore.
Questi i dati puramente tecnici. Niente che giustifichi grandi entusiasmi, si direbbe, e la musica sembra darne conferma: la mediocrità domina, e ben pochi pezzi sanno sedurre in modo realmente convincente. Per bene che vada, la maggior parte si limita a reiterare un cliché non particolarmente evocativo senza istillarvi personalità e - soprattutto - senza avere con sé idee compositive solide.
Guardando le cose più in prospettiva, però, si notano diversi dettagli molto interessanti. Il primo è che, per quanto siamo nell'era del miscuglio, la ricetta witch house mette a contatto generi che non si erano mai parlati. Hip-hop da classifica, darkwave, ambient industrial, dream-pop, perfino dubstep e (almeno nell'iconografia) black metal. Il connubio non si limita alla giustapposizione però, perché riesce a fondere le diverse anime in un suono coeso e amalgamato. Un suono che sta in piedi da sé, ed evoca una gamma di immagini ed emozioni in buona parte aliene agli stili "di partenza".
Qui arriviamo a un altro tratto peculiare, quello dell'interazione strettissima tra l'aspetto musicale e quello visivo nel dar vita a un immaginario inedito. Gli spettri della witch house, siano frutto di riti magici, malinconie latenti, popular culture sbiadita o vaghe memorie d'infanzia, condividono qualcosa con altri spettri moderni: gli ologrammi. Come gli ologrammi, sono immagini evanescenti che nascono dall'interferenza di due piani diversi - che di per sé risultano piatti e incolori, ma quando osservati in combinazione danno luogo ad apparizioni tridimensionali. La witch house è un "pacchetto" suono/immagine, in cui per l'effetto finale sono altrettanto determinanti i continui cut'n'paste musicali e i volti di popstar riflessi e tagliati da figure geometriche, i nomi "grafici" ed esoterici e i sintetizzatori piovosi stile Blade Runner. Per questo la domanda "Ma la musica?", ancor prima di ogni eventuale risposta, rischia di portare fuori strada: l'essenza della witch house sta da qualche parte a cavallo tra musica e altro, e volersi limitare al solo piano musicale ne farebbe notare giusto i dettagli più scialbi.
Non è chiaro se questa inscindibilità degli aspetti sonori e visivi nasca dal ruolo dominante di YouTube come canale di diffusione della witch house, o se sia quest'ultimo a discendere dalla natura ibrida del genere. Comunque sia (è un po' la questione dell'uovo e della gallina), c'è un dato significativo che il problema mette in luce: la witch house è il primo genere veramente internettiano nell'universo pop. I musicisti sono del tutto estranei al circuito live e intendono come "contatto diretto" con gli ascoltatori quello che si instaura tramite i vari Twitter, Myspace ecc., ma soprattutto le tracce nascono per YouTube e molte di esse manco esistono su supporto fisico (al massimo, un cd-r...). Non è un caso anche che lo stile witch house abbia incorporato elementi tipici di altre mode internettiane, dalla grafia l33t al "mash-up" audio/video all'assemblaggio di videoclip amatoriali riciclando filmati vari.
È sorprendente come la moda hypna abbia fatto da ponte tra uno degli universi musicali più luddisti di sempre - quello dell'ultra-lo-fi americano ancora attaccato alla cassetta, o al più al cd-r - e la galassia degli hipster internettiani entusiasti di ogni sorta di nuovo canale musicale e social network. In fin dei conti, però, l'attuale panorama di video semi-clandestini che circolano su YouTube coi loro nomi irrintracciabili (provateci voi a cercare su google una sequenza di caratteri pseudo-runici!) è, oltre che un ottimo strumento per alimentare la nomea esoterica del genere, anche quanto di più vicino a una replica "aggiornata" del labirinto di cassettine e mixtape tipico dello shitgaze americano. Un altro "salto" che fa riflettere è quello dei bersagli delle rivisitazioni ipnagogiche: se inizialmente ad essere ripescati erano soprattutto gli anni Ottanta (in qualche caso anche i Settanta), nella witch house la materia prima viene dritta dagli anni Zero: hip-hop mainstream, echi di dubstep marca Hyperdub e perfino Lady Gaga (l'icona pop preferita dalla scena, vittima di numerosissimi "drag remix"). Praticamente, alle memorie nostalgiche di qualche decennio fa si sono sostituite i ricordi finto-sbiaditi di ieri a dir tanto.
La witch house è l'hypnagogic pop che ha effettuato un salto generazionale: dai trentenni della grande provincia americana, agli studentelli poco più che adolescenti delle high school. Ragazzi sostanzialmente nuovi al mondo della musica, con una cultura fatta di pochi riferimenti solidi e molte band raccattate su SoundCloud. E dal mainstream USA che con ogni probabilità è stato fino a ieri il loro unico contatto con la pop music, e da articolazzi di Pitchfork come quello sulla witch house - su loro stessi, insomma. Eccoci allora tornati all'inizio, con una sorta di serpente che si morde la coda che senz'altro stuzzicherebbe i palati esoteristi dei giovincelli in questione, se solo la loro passione per il mistero andasse oltre la facciata.
Ma la witch house è anche questo: un genere di facciata. Uno stile che, incredibilmente, ha bypassato la fase "espressiva" iniziale (quella in cui si elabora un suono più o meno proprio per dare corpo al proprio modo di essere e comunicarlo) per configurarsi da subito come pura maniera. I pezzi witch house sono esercizi di stile, semplici applicazioni di una ricetta che fin dal primo momento è stata scritta nero su bianco. Anche per questo ha attratto frotte di pischelli privi di esperienza: per l'indubbia facilitazione data dall'avere un binario ben delineato, una serie di "istruzioni" semplici che rispettate garantiscono un risultato più che decoroso.
Quindi si tratta di un genere nato morto, destinato a tramontare con la stessa fretta con cui è sorto? Forse sì, forse no: molto dipenderà da quanto i ragazzi improvvisatisi musicisti grazie ad essa sapranno maturare, sviluppare personalità proprie e guardare oltre al canone del genere. Sono tanti però gli elementi che fanno intuire potenzialità per ora inespresse.
La witch house è il linguaggio di una "popolazione" nuova per il mondo musicale, la generazione nata nei primi Novanta assieme ai primi vagiti della internet di massa: i famosi "nativi digitali". È il territorio di incontro di molti dialetti musicali, nessuno dei quali effettivamente "lingua madre" degli artisti in questione - se non forse quel mainstream/kitsch che, in ogni caso, è impossibile padroneggiare fluidamente senza avere a disposizione l'arsenale tecnologico, tecnico ed economico delle major. Tutti gli stili da cui il canone witch house attinge sono in qualche modo travisati, "traditi": questo perché il gruppo sociale alla base del genere non è in continuità culturale con nessuno di essi. Ruba ritmi al dubstep, ma non ha alcun legame coi club londinesi e l'hardcore continuum di cui è frutto (da qui l'assenza di groove e profondità: il popolo della witch house non ha alcuna idea delle implicazioni fisiche del ritmo propagato tramite soundsystem da migliaia di watt!). Se conosce l'universo underground del lo-fi americano, è solo per sentito dire e tramite la recentissima deriva hypna - dalla cui vulgata nasce tutta la mania per spettri e reminescenze varie. Lo stesso vale per ogni altro ambiente a cui potrebbe essere accostato: il mainstream è un passato (magari da pochissimo) da parodizzare, il panorama indie una scoperta dell'ultim'ora, stimolante giusto per i panegirici scritti sulle webzine di settore, il black metal solo un calderone iconografico da cui prelevare immagini inquietanti e croci in fiamme.